L’assalto al Nord e i business «senza ostacoli». Ciconte: «Se la ‘ndrangheta vede i soldi ci si butta»
L’esperto: «Il soggiorno obbligato una legge criminogena». L’analisi sulle donne nei clan: da «silenziose protagoniste» a «capi famiglia»

ROMA Per la ‘ndrangheta «non ci sono ostacoli di carattere morale o di altro tipo. Ci sono i soldi? Ci si butta. Fine». Sono i soldi il motore e l’obiettivo primario di un’organizzazione criminale che è stata in grado di radicarsi da Nord a Sud in tutta Italia, dall’Europa al Sud America, creando alleanze durature con organizzazioni mafiose e criminali italiane e straniere. E’ l’esperto in materia, lo studioso Enzo Ciconte, docente e storico, a fornire al Corriere della Calabria un’analisi lucida e approfondita del fenomeno, sotto diversi aspetti: dalla capacità di creare radici fuori dai propri territori d’origine, mantenendo i fortissimi legami con la Calabria, al ruolo rivestito dalle donne in una organizzazione da sempre a trazione maschile. Una natura mutata nel corso degli anni: «La ‘ndrangheta non affilia le proprie donne, ma molte di loro sono capi famiglia».
Le donne di ‘ndrangheta: da «silenziose protagoniste» a «capi famiglia». I mutamenti negli anni
«La ‘ndrangheta ha sempre utilizzato le donne in vario modo, le ha strumentalizzate, le ha piegatele alle sue logiche, ma nello stesso tempo aveva bisogno di loro. Naturalmente un’organizzazione maschilista come la ‘ndrangheta non poteva valorizzare le donne, quindi le ha sempre messe ai margini», spiega Ciconte definendole tuttavia in realtà «in qualche misura protagoniste, silenziose ma protagoniste». Una figura quella femminile da sempre, dunque, centrale e determinante anche se in modi diversi in base ai mutamenti avvenuti negli anni. Spiega Ciconte: «Faccio un esempio: nel ’92 ho scritto il primo libro di storia della ‘ndragheta facendo una ricerca a tappeto anche in archivi storici, in modo tale da capire dall’intero cosa succedeva. Ho trovato alcune sentenze nelle quali venivano rilevate presenze femminili, erano donne che vestite da uomini per non farsi riconoscere partecipavano alle attività criminali dei mariti. Questo dura qualche anno nel distretto di Nicastro, oggi Lamezia Terme, e quello di Palmi». A un certo punto però – come spiega l’esperto – la situazione cambia e questo accade per un motivo ben preciso: «Se venivano arrestati padre e madre, i figli restavano in balia di loro stessi. Il problema era l’educazione: la donna doveva stare a casa per insegnare ai figli la cultura mafiosa. Questo ha fatto la donna di ‘ndrangheta, ed è un aspetto fondamentale, perché è quello attraverso il quale si introduce nelle giovani menti la cultura mafiosa, che poi la portano avanti. Questo – spiega ancora Ciconte – è stato uno dei ruoli già nell’Ottocento. Poi naturalmente negli ultimi anni il ruolo della donna è cambiato perché è cambiata la società. Nella società di oggi la donna è molto più presente e attiva, ha ruoli importanti che prima non aveva e di conseguenza nella ‘ndrangheta c’è anche questo riflesso, di ruoli diversi, anche apicali nella sua struttura, salvo una cosa: non vengono affiliate. La ‘ndrangheta non affilia le proprie donne, ma note di loro sono capi famiglia». Uno status quo, secondo Ciconte, che è destinato a rimanere tale. Parlando di affiliazioni e di una possibile apertura al mondo femminile, lo studioso spiega infatti: «Non credo avverrà. Ormai i rituali li fanno soprattutto al nord e all’estero, dove c’è bisogno della memoria, fare i rituali è il modo per rimanere attaccati alla Calabria. Non credo che questo aspetto sia un fatto importante nella ‘ndrangheta per quanto riguarda le donne».
All’assalto del Nord Italia. «Il soggiorno obbligato una legge criminogena»
Non più infiltrazioni, ma ormai da decenni radicamenti. Dal Nord Italia, all’Europa fino al Sud America. I clan sono stati in grado di tessere legami e utilizzarli per reinventarsi. Ma l’assalto al Nord come ha avuto inizio? «La ‘ndrangheta nel Nord Italia è arrivata attraverso due grandi vie di accesso: la prima via è stata l’emigrazione, molti meridionali durante gli anni del boom economico andarono al nord. Un fenomeno che io vidi a Torino quando frequentavo l’università. Accanto agli emigrati che andavano a lavorare, accanto alla nostra operaia, c’erano i mafiosi. Andavano insieme, come è sempre stato in tutti i flussi migratori, compresi quelli odierni. La grande maggioranza è gente che fugge dalle guerre, che cerca una vita migliore, e accanto a questi ci sono i criminali».
«La seconda via di accesso – spiega Ciconte – è stato il soggiorno obbligato: una legge criminogena e che non è mai stata cambiata nonostante i sindaci di tutti quanti i partiti, abbiano sempre combattuto contro questa legge. E’ stata una legge criminogena perché ha portato i mafiosi lì». E parlando di esempi tangibili e casi specifici, Ciconte racconta: «Faccio il nome di un siciliano: don Tano Badalamenti, l’uomo di Cinisi, quello che fece ammazzare Peppino impastato. Lui era soggiornante obbligato a Sassuolo. A Sassuolo ancora oggi se lo ricordo perché faceva il “gran signore”, si faceva arrivare pesce fresco dalla Sicilia. Andava a firmare in caserma, era un grande borghese, un personaggio di rilievo e di “rispetto”, e poi la notte affiliava a Sassuolo i ragazzi come uomini di mafia a Cinisi. Lì ancora se lo ricordano e se parla con i vecchi abbassano la voce».
Un fenomeno che interessò diverse regioni del Nord e i centri economici più fiorenti: «Così successe a Milano, Torino, in Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, dappertutto. E questa è stata, ripeto, una legge che io definisco creminogena, perché ha portato i mafiosi al nord. Lì c’era una cosa che in Sicilia e in Calabria non c’era: i soldi. I calabresi non sono tornati indietro, i siciliani sì. I calabresi avevano una politica di presenza della ‘ndrangheta diversa da quella dei camorristi e da quella dei siciliani, e quindi hanno impiantato vere e proprie colonie, insediamenti, in stretto contatto con uomini rimasti in Calabria».
Business senza ostacoli
E sono i soldi il grande interesse della ‘ndrangheta, il motore che non conosce ostacoli. Per questo nessun settore, se portatore di interessi e soldi, viene escluso dalle logiche criminali. A rischio ci sono «tutti i settori e i posti dove è possibile fare soldi. Una volta – spiega Ciconte – c’erano delle attività che sembravano precluse per la ‘ndrangheta, ma così non è stato. Quando hanno pensato di poter fare soldi li hanno fatti. Non c’è settore che si precluda, non ci sono ostacoli di carattere morale o di altro tipo. Ci sono i soldi? Ci si butta. Fine». (m.ripolo@corrierecal.it)
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