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L’ex nero «uomo delle stragi»: l’ombra di Bellini tra ‘ndrangheta, destra e Cosa nostra

Condanna definitiva in Cassazione per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Il profilo disegnato da Giovanni Brusca e Di Matteo

Pubblicato il: 02/07/2025 – 6:19
di Giorgio Curcio
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L’ex nero «uomo delle stragi»: l’ombra di Bellini tra ‘ndrangheta, destra e Cosa nostra

ROMA Un uomo per tutte le stragi. Si potrebbe definire così Paolo Bellini, classe 1953, protagonista – a tratti sommerso – di alcune delle epoche più terribili del Paese. A cavallo tra estremismo, terrorismo ma anche mafia, sia ‘ndrangheta che Cosa nostra. Un uomo in grado di navigare e restare a galla nei momenti peggiori, ma anche di capire quando è il tempo di fuggire e tornare indietro. Ora, però, il discorso è cambiato, con una verità divenuta «certezza definitiva» a poco più di 45 anni dalla strage di Bologna. I giudici della VI sezione penale della Cassazione hanno scritto la parole fine al processo contro l’ex terrorista nero Paolo Bellini, considerato l’esecutore materiale dell’attentato del 2 agosto del 1980, in cui persero la vita 85 persone ed oltre 200 rimasero ferite. Bellini, ex avanguardista di destra è anche killer di ‘ndrangheta reo-confesso di vari omicidi ed è considerato il “quinto uomo” della Strage e definito in una informativa della Direzione Investigativa Antimafia del 4 marzo 1994 «un ambiguo personaggio legato ad ambienti dell’estrema destra eversiva». La Suprema Corte ha confermato la responsabilità penale anche per gli altri imputati: l’ex capitano dei Carabinieri Piergiorgio Segatel ha avuto 6 anni per l’accusa di depistaggio; 4 anni, invece, per Domenico Catracchia, amministratore di alcuni condomini di via Gradoli a Roma, ritenuto colpevole del reato di false informazioni fornite al pubblico ministero.

L’ex terrorista e ‘ndrangheta stragista

Il profilo di Bellini è ampiamente tratteggiato negli atti dell’inchiesta “’ndrangheta stragista” della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria. L’ex terrorista, infatti, ha riferito di essere stato condannato per vari reati, tra cui l’omicidio di Alceste Campanile di “Lotta Continua” commesso nel 1975, autoaccusatosi a distanza di molti anni dalla sua commissione. Dal profilo di Bellini emerge, anche, il suo ruolo nella ‘ndrangheta calabrese. È lui stesso ad aver affermato di avere fatto parte della ‘ndrina Vasapollo-Ruggero stanziata a Reggio Emilia e di essere stato inizialmente consigliere di Nicola Vasapollo, capo della ‘ndrina e poi, alla sua morte, di avere assunto il ruolo di killer.  

La latitanza, il ritorno

Un uomo dalle mille domande e dai tanti volti. E, soprattutto, da una identità rimasta celata per molto tempo. Paolo Bellini, infatti, aveva dichiarato di essere stato un latitante per diverso tempo. Una latitanza trascorsa, almeno per la prima parte, in Brasile prima di rientrare in Italia, scegliendo di stabilirsi a Foligno, dove aveva frequentato una scuola di pilotaggio. In Italia aveva fatto rientro intorno al 1976- 1977, utilizzando un passaporto intestato a un cittadino brasiliano, Roberto De Silva. Poi l’arresto, a Pontassieve, per il furto di opere di antiquariato ed era stato tradotto inizialmente nel carcere “Le Murate” di Firenze, successivamente a Reggio Emilia, poi nuovamente a Firenze ed infine a Sciacca, mantenendo sempre le false generalità. 

I suggerimenti sulla strategia stragista di Cosa nostra

A parlare di Bellini era stato anche il killer di Cosa nostra e poi collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, citando un episodio che riguardava Santo Mazzei. Secondo l’ex capomandamento di San Giuseppe Jato, infatti, Mazzei aveva dato inizio alle stragi del nord Italia, prima che venisse arrestato Totò Riina in quanto nel novembre 1992, su suggerimento di un certo Bellini, era stato stabilito di compiere degli attentati ai danni del patrimonio artistico e di tali progetti era stato informato anche Mazzei.
«Questa strategia non funziona, sarebbe meglio fare gli attacchi diciamo allo Stato, alle opere pubbliche… alle opere d’arte, tipo creare allarmismo, mettere le merendine al supermercato avvelenate, e poi avvisare oppure mettere siringhe infette di sangue sulla spiaggia di Rimini, creare allarmismo nel territorio nazionale», dichiarerà Brusca nel corso di un interrogatorio riferendosi proprio a Bellini.  

Il quadro per alleggerire il 41bis

Ma anche un altro collaboratore, Mario Santo Di Matteo, aveva tirato in ballo Paolo Bellini. Il pentito, infatti, aveva affermato che Antonio Gioè, presso il carcere di Sciacca, aveva avuto contatti con Bellini, «personaggio che lui aveva conosciuto presso il carcere di Paliano». Bellini – secondo il racconto di Di Matteo, sosteneva di appartenere ai servizi segreti e, secondo quanto riferitogli dal Gioè, si sarebbe adoperato per recuperare un quadro di valore ed in cambio sarebbe stato alleggerito il regime del 41bi nei confronti di alcuni soggetti, tra cui Bernardo Brusca. (g.curcio@corrierecal.it)

Foto: AdnKronos

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