Viaggi «inumani» da milioni di euro. Il Mediterraneo orientale e gli affari dei trafficanti di migranti
Dalla Turchia alle coste calabresi. Il procuratore Lombardo: «Fenomeni che avvengono su territori di ‘ndrangheta»

REGGIO CALABRIA Viaggiavano in mare stipati e in condizioni definite dagli investigatori «inumane». Così la rete internazionale scoperta dalla Dda di Reggio Calabria con l’operazione “Medusa” «massimizzava i profitti» lucrando sulla disperazione dei migranti. Quattro associazioni organizzate, composte da quelli che vengono considerati «professionisti» del settore, impegnati a curare ogni minimo dettaglio delle traversate lungo la rotta del Mediterraneo orientale, dai porti della Turchia, Bodrum, Izmir e Marmaris, fino alle coste italiane, nella provincia reggina in particolare Roccella Jonica, ma anche Crotone, Lecce, Siracusa. Il destino dei migranti era nelle mani di una rete internazionale di trafficanti di migranti, scoperta da una vasta operazione internazionale coordinata dalla Dda guidata dal procuratore Giuseppe Lombardo, ed eseguita dagli uomini della Polizia di Stato del Servizio Centrale Operativo e della Squadra Mobile di Reggio Calabria.
L’inchiesta sulla rete internazionale
Sono 25 i cittadini stranieri destinatari di una ordinanza di custodia cautelare in carcere e 43 indagati in stato di libertà, per un totale di 68 persone accusate di far parte della rete internazionale. Oltre trenta gli sbarchi ricostruiti dall’indagine, avvenuti tra il 2017 e il 2022, che hanno condotto in Calabria circa 2mila migranti (in un quadro che ne ha interessati 10mila) a bordo di barche a vela stipate all’inverosimile, per un giro d’affari nell’ordine dei dieci milioni di euro stimato grazie all’analisi di centinaia di transazioni finanziarie. Disposto anche il sequestro di tre milioni e trecentomila euro circa.
Grazie al coordinamento della Direzione nazionale antimafia, di Eurojust, Interpol, Europol e Servizio per la Cooperazione internazionale di Polizia, sono stati individuati scafisti e capi delle organizzazioni criminali, tutti cittadini di Georgia, Ucraina, Turchia e Moldavia. «È stata una attività molto articolata», ha spiegato il questore di Reggio Calabria Salvatore La Rosa, che ha aggiunto: «Lo ritengo un grande risultato, le risposte dello Stato nel suo apparato di contrasto sono concrete».
«Parliamo di una indagine non tradizionale, molto complessa, che ha coinvolto moltissimi interlocutori in ambito estero», ha spiegato il procuratore Lombardo, che ha aggiunto: «C’è un doppio piano anche rispetto a quello che è l’approccio investigativo: accanto alla contestazione riferibile al singolo sbarco era necessario andare oltre per comprendere come il singolo sbarco si inserisse in un contesto più ampio e abbracciasse un programma criminoso tutto da scoprire». «Stiamo parlando di condotte non isolate, un fenomeno criminale necessariamente organizzato. È impossibile immaginare un volume così importante senza un’organizzazione complessa».
Lombardo: «La flessibilità criminale non si ferma davanti alle difficoltà, ma si trasforma»
«Nella ricostruzione odierna non ci sono riferimenti alla ‘ndrangheta, – ha spiegato Lombardo – ma quello che posso dire è che i territori in cui questi fenomeni avvengono sono territori di ‘ndrangheta. Non possiamo fare previsioni – ha aggiunto il procuratore reggino – su quello che sarà un eventuale scenario futuro». Indicativa inoltre è la «progettualità criminale ampia, ambiziosa, complessa» dimostrata dalla rete internazionale, impegnata nella gestione di un flusso di migranti «imponente”, attraverso l’operatività di quattro frange: ucraina, moldava georgiana e turca. Ognuna impegnata in un diverso ambito con la finalità di portare a termine gli sbarchi: dal reclutamento degli scafisti, alle transizioni finanziarie, fino alla gestione delle partenze e dei rapporti con i migranti e i loro parenti.
Le indagini, come spiegato da Lombardo hanno messo in rilievo importanti mutazioni su diversi aspetti: «Sono mutate le rotte, siamo passati dalla rotta del Mediterraneo centrale a quello del Mediterraneo orientale. Sono cambiati i paesi di partenza: si è passati dalla Tunisia, alla Libia e poi alla Turchia. Sono cambiati i paesi di provenienza, dall’Africa subsahariana al vicino Oriente». Un dato che secondo il procuratore reggino è indicativo: «Anche con il mutamento degli scenari internazionali, la flessibilità criminale non finisce davanti alle difficoltà, ma si trasforma, questo è il dato particolarmente preoccupante».
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