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Il commento

L’eutanasia dei piccoli paesi. La nuova strategia del Governo

Si chiama “Piano strategico nazionale per le aree interne” (PSNAI). Contiene le linee guida che il Governo Meloni ha elaborato per…

Pubblicato il: 09/07/2025 – 8:28
di Francesco Bevilacqua*
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L’eutanasia dei piccoli paesi. La nuova strategia del Governo

Si chiama “Piano strategico nazionale per le aree interne” (PSNAI). Contiene le linee guida che il Governo Meloni ha elaborato per favorire lo sviluppo delle aree interne del Paese, oggi per gran parte a rischio spopolamento. Sostituisce il precedente piano che volle nel 2013 Fabrizio Barca, allora ministro nel governo Monti. Il varo del nuovo piano negli ultimi giorni è stato oggetto di interesse da parte della stampa e, ancor più, di perplessità da parte di intellettuali, amministratori, politici, inorriditi dinanzi a certi termini usati. Ho letto le 164 pagine del piano in cerca di questi termini. Li ho trovati alle pagine 45 e 46 del piano, laddove si individuano quattro categorie di obiettivi che i singoli comuni possono prefiggersi al fine di accedere ai sostegni governativi. Quello incriminato è il quarto obiettivo. Trascrivo qui il testo in modo che non ci siano equivoci: “Obiettivo 4, accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile. Un numero non trascurabile di aree interne si trova già in una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. Effettivamente il testo appare, sul piano lessicale, spietato. Ricorda la famosa frase del ministro dell’Interno Piantedosi quando chiamò “carico residuale” i migranti su una barca alla deriva. Con la locuzione “spopolamento irreversibile” si formalizza lo stato di morte apparente dei piccoli paesi. Ma al di là della formula usata, dal resto del testo sembra che il Governo voglia prendersi cura dei paesi in spopolamento con interventi mirati. E questo vale non solo per quei paesi che vorranno attribuirsi il quarto obiettivo (ossia il destino di spopolarsi definitivamente), ma anche per quelli che si proporranno obiettivi meno drastici. Tutto bene allora? No, per nulla. Perché, come sempre, si guarda alla pagliuzza e si ignora la trave. La pagliuzza è l’uso improvvido della definizione “spopolamento irreversibile”. La trave, invece, è il pensiero che sta dietro alla nuova strategia governativa.

Proviamo a fare chiarezza. Qualcuno ricorderà forse, un mio articolo apparso il 10 novembre 2021 sul Corriere della Calabria nel quale, nel prendere per l’ennesima volta le difese dei piccoli paesi, richiamavo un articolo uscito sul Corriere Adriatico nel 30 giugno 2021 a firma del prof. Donato Iacobucci, economista, docente alla Politecnica delle Marche e Presidente della Fondazione Merloni, nel quale lo studioso faceva il seguente ragionamento: assicurare i servizi pubblici essenziali in un paese con pochi abitanti è troppo costoso. Ergo, induciamo gli abitanti dei paesi a trasferirsi nelle città, dove i costi dei servizi per lo Stato sono minori. Da qui l’invenzione della locuzione “spopolamento programmato”, che non suona meno cinica di quella usata nel nuovo piano governativo. Anzi, a ben vedere lo è di più, perché significa: togliamo i servizi ai paesi così la gente si trasferirà “spontaneamente” nelle città. Quella di Iacobucci era ad ogni effetto un’apologia della deportazione di massa già vista in altre nazioni: in India, ad esempio, dove, secondo Arundhati Roy, nel periodo della costruzione delle grandi dighe, furono trasferiti dalle campagne allagate alle periferie delle metropoli oltre 30 milioni di persone. Mentre, quantomeno, nello PSNAI del Governo, pare che si voglia accompagnare il declino dei paesini con una sorta di terapia del dolore, come per i malati terminali. Ma, quel che più conta è che Iacobucci, nell’articolo del 2022, non intestava a sé stesso la “scoperta” di questo metodo e nemmeno la intestava a qualche economista di scuola neoliberista e/o di destra, ma ne riconosceva la paternità, invece, niente di meno che a Romano Prodi. Sicché, deve essere chiaro a tutti: il pensiero che piccole comunità in aree marginali non debbano esistere perché non ci conviene economicamente non è della destra ma di una certa sinistra. Magari quella stessa sinistra che oggi insorge contro il cinismo del PSNAI. Attenzione: tengo fuori dalla congrega degli spopolatori ad oltranza tanti economisti che nulla hanno a che vedere con le teorie di Iacobucci e di Prodi. Mi riferisco allo stesso Fabrizio Barca ma anche al calabrese Domenico Cersosimo e a diversi altri che in questi anni hanno invece contrastato quelle tesi con pubblicazioni scientifiche, ricerche, libri, corsi e master universitari, non ultimo quello per manager dello sviluppo delle aree interne meridionali all’Unical. Proviamo però a tirare le fila del discorso sul piano concreto. Che fare? Per prima cosa, si dovrebbe capire che l’eutanasia si concede a chi la vuole, non a chi non la vuole. Deve essere una scelta, non un’imposizione. E dunque se dieci, cento, cinquecento persone vogliono vivere in un paese ne hanno diritto esattamente quanto gli abitanti di una metropoli. Secondo: se riconosciamo questo diritto, un paese civile, una democrazia, uno stato liberale (come ci fregiamo di essere) deve assicurare servizi anche alle piccole comunità in aree marginali. Non pretendo, ovviamente, che in ogni paesino vi sia un ospedale, ma che almeno si possa contare su una guardia medica non troppo lontana e su un ospedale in un raggio chilometrico ragionevole. Così per asili nido, scuole, collegamenti, connessione Internet etc. Terzo: i maggiori costi dei servizi in aree poco abitate si possono compensare con i minori costi (anzi con i guadagni) che lo Stato ottiene dai servizi di scala nelle grandi aree urbane. Ma c’è a mio parere un’ulteriore cosa che i piccoli comuni dell’interno possono fare per avere maggior forza nel relazionarsi con il governo: associarsi e, meglio, fondersi. Perché tenere separati e con gravosi oneri amministrativi individuali tanti piccoli comuni che invece, unendosi potrebbero realizzare significativi risparmi e una maggior razionalizzazione dei servizi pubblici essenziali? Con l’aggiunta che anche nei rapporti con gli enti sovraordinati e con il Governo beneficerebbero di evidenti vantaggi. In conclusione, è vero che la natura svuota e riempie a proprio piacimento gli habitat (sia che si tratti di animali sia che si tratti di esseri umani), e che gli habitat svuotati sono destinati, per una regola biologica ineludibile, prima o poi a riempirsi. Ma non può nemmeno dubitarsi che se un paese ha una popolazione di soli 500/1000 abitanti (è questa la soglia dello spopolamento irreversibile), vecchi o giovani che siano, questi abbiano solo bisogno di cure palliative o che gli venga assicurato solo un loculo al cimitero. Occorre invece aiutarli a vivere in quel posto, che fa parte a pieno titolo della nazione e deve avere pari dignità abitativa di una grande città. Che tradotto significa: essere dotati – e non depredati – di servizi minimi essenziali. Capisco che in un’ottica di economia di scala, portare servizi pubblici essenziali in piccoli paesi costa troppo per lo Stato, come sostengono Prodi e Iacobucci, ma ci rimane ancora il diritto di abitare dove ci pare o no? Possiamo scegliere il luogo dove saremmo voluti nascere, per parafrasare Rilke, o invece dobbiamo rassegnarci ad essere deportati a piacimento dei governi come si fa in India? Conosco tante persone, persino giovani coppie con bambini, in Calabria, che vivono o vorrebbero vivere in piccoli paesi dell’interno, ma che hanno solo bisogno di assistenza medica, asili, scuole, servizi a distanze tollerabili: un po’ di disagio è sempre accettato per chiunque faccia scelte abitative diverse. È questo il pensiero che dovrebbe sostenere l’azione dei governi, non la spasmodica ricerca di un risparmio di spesa. Risparmio che però, strano a dirsi, svanisce improvvisamente quando si tratta di riempire di armi gli arsenali.

*Avvocato e scrittore

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