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‘ndrangheta e spaccio

Il messaggio dei Marando per San Basilio: il pusher «infame» rapito, legato e torturato

La gravissima violenza immortalata in una decina di video sull’iPhone di Ciccio Marando (cl. ’97) di Locri.

Pubblicato il: 10/07/2025 – 6:21
di Giorgio Curcio
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Il messaggio dei Marando per San Basilio: il pusher «infame» rapito, legato e torturato

ROMA Torturare un «infame» per dare un messaggio forte ed inequivocabile a tutto San Basilio. Un’aggressione vile e violenta, durata per oltre un’ora e accompagnata da ogni tipo di dileggio e mortificazione. Un atto terribile che testimonierebbe però il potere criminale del gruppo capeggiato dalla famiglia Marando in un quartiere cruciale per lo spaccio di droga e più volte colpito dalle forze dell’ordine nel corso degli ultimi anni. L’episodio è stato ricostruito dagli inquirenti nell’inchiesta “Anemone” che ha portato all’arresto di 28 soggetti, su ordine del gip di Roma, Antonella Minunni, su richiesta della Distrettuale antimafia della Capitale, accendendo i riflettori sulla penetrazione della ‘ndrangheta a San Basilio attraverso la potente famiglia Marando.

I video sull’iPhone

L’evento è stato immortalato attraverso 10 video ritrovati poi dagli inquirenti estrapolando i dati dall’iPhone X sequestrato a Francesco Marando, classe 1997 di Locri ma residente a Roma, finito in carcere nel blitz dei Carabinieri. Frame che, uno dopo l’altro, documentano la tortura nei confronti di un soggetto di cui non riveleremo l’identità, pusher già noto alle forze dell’ordine perché attivo nella piazza di spaccio “La Lupa” a San Basilio, prendendo il nome dalla presenza di un murales con il simbolo della società calcistica “A.S. Roma”. Il pusher, peraltro, è stato più volte arrestato in flagranza, proprio nel corso della sua attività criminale in quella piazza.

Punirne uno per dare un messaggio a San Basilio

Un pestaggio con tortura un atto molto più violento. Il messaggio di fondo, infatti, era molto più significativo: punirne uno per far capire al resto di San Basilio che, qualunque errore compiuto da chi era sottoposto all’impero dei Marando, avrebbe pagato pesantemente. Come? Attraverso punizioni “celebrate” in pubblico, senza alcun timore grazie al «clima di assoggettamento che si era creato nella realtà cittadina del quartiere». Il giovane, come ricostruito dall’inchiesta, sarebbe stato torturato perché era stato accusato di essersi comportato «come un infame» perché, durante un intervento delle forze dell’ordine, secondo il gruppo aveva gettato gli involucri di stupefacente addosso agli altri complici e si era dato alla fuga, «esponendo così i sodali al possibile arresto e condanna».  

Il rapimento

Gli inquirenti, dunque, passano alla descrizione dei video estrapolati dallo smartphone di Marando. Nel primo video la vittima viene avvicinata da un’auto quando uno degli indagati, Federico Mennuni ,finito anche lui in carcere, utilizzando una bomboletta spray gli spruzza qualcosa sugli occhi. La vittima verrà poi caricata sulla Smart Four Four. «Fallo montare a zì! Dajeee a zì!» grida intanto Ciccio Marando. In un terzo video, poi, la vittima è trascinata giù per le scale in uno dei comprensori del quartiere romano San Basilio. Ma è dalle immagini del quarto video esaminato dagli inquirenti che la vittima appare già col volto tumefatto e con le labbra copiosamente sanguinanti, con il pantalone abbassato fino all’altezza delle ginocchia. Poi un calcio subito dalla vittima mentre si trova con la faccia a terra. 

Torture e mortificazioni

I frame dei video successivi restituiscono la drammaticità e le atrocità subite dalla vittima da parte del gruppo capeggiato da Ciccio Marando: i piedi legati da una fascetta in plastica, così come le mani legate dietro la schiena. «Quando sono arrivate le guardie ha tirato la roba» dice uno del gruppo, con Marando che incalza: «Dajee fammi vedere cosa gli fai!». Nel video successivo, come ricostruito dagli inquirenti, il pusher si trova all’interno di un carrello della spesa per il divertimento del branco che, successivamente, lo ribalta, con Ciccio Marando che intima alla vittima di non gridare, «se strilli calcola che ti ammazzo!». La tortura e la mortificazione subita dalla vittima continua quando, cercando di divincolarsi, «viene colpito con la punta di un ombrello sui genitali», riporta il gip nell’ordinanza. Poi Mennuni avrebbe continuato ad «ustionare la vittima con una bomboletta spray, bruciandogli capelli, genitali, mani e polpacci» scrive ancora il gip. «(…) allora te adesso mi guardi e mi dici che sei un pezzo di merda…» gli dice Ciccio Marando.

«Dagli una pizza a ‘sto infame»

Nel video successivo, la vittima è legata mani e piedi mentre è seduta a terra sul marciapiede a San Basilio con i piedi legati da una fascetta in plastica, così come le mani legate dietro la schiena. Mentre continuano a dileggiarlo, Ciccio Marando invita uno del gruppo a schiaffeggiarlo. «Ti sto a dì di dargli una pizza in faccia, la voglio più forte!», e ancora: «e te che sei un pezzo di merda che scappi?». Nell’ultimo video si vede, infine, il pusher è ancora legato e viene colpito da un calcio nel sedere da un soggetto poi esortato a smettere da un soggetto non identificato, la cui voce viene registrata da lontano. «Menagli, menagli, dagli una pizza a ‘sto infame».
Il gip, alla luce de gravissimo episodio, sottolinea l’utilizzo di metodi mafiosi da parte dei Marando per «ingenerare in tutti coloro che svolgono attività di spaccio nella zona San Basilio sentimenti di paura ed assoggettamento». (g.curcio@corrierecal.it)

(Foto: Bruno Panieri – Machebellacittà.it)

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