‘Ndrangheta a Roma: la «legge dei Marando» a San Basilio e nel monopolio della droga
La nuova inchiesta romana ha smantellato, ancora una volta, l’organizzazione legata alla “casa madre” in Calabria. Centrale la figura di Rosario Marando

ROMA A San Basilio l’unica legge è quella dei Marando «organizzazione criminale di vaste dimensioni» la cui priorità è il traffico di stupefacenti. Qui, a sud-est della Capitale, sono loro a gestire ogni cosa, attraverso un sistema di controllo costante e capillare del territorio. È da questa zona di Roma che partono le ramificazioni nazionali ed internazionali della potente cosca di ‘ndrangheta, assumendo i contorni quasi di una «holding criminale» il cui capo indiscusso è Rosario Marando, circondato da numerosi e validi affiliati a cui aveva affidato compiti ben definiti.
Quella smantellata dai Carabinieri del Ros di Roma, su ordine del gip e su richiesta della Distrettuale antimafia capitolina e che ha portato a 28 arresti, è un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti la cui connotazione criminale e ben organizzata deriva da un fortissimo e indissolubile legame con la ‘ndrangheta e la “casa madre” calabrese.
Rosario Marando
Dalle indagini, dunque, è emerso il ruolo apicale di Rosario Marando, classe 1968 di Locri ma residente a Roma. È lui che – secondo gli inquirenti – sarebbe stato in grado addirittura di “riavviare” la piazza di spaccio a San Basilio a partire dall’estate del 2020 nonostante si trovasse agli arresti domiciliari. Un business incentrato sulla vendita al dettaglio di quella che era una parte dello stupefacente commerciato dal sodalizio criminale facente capo ai Marando, «avvalendosi della capacità organizzativa e gestionale degli appartenenti al gruppo», riporta il gip nell’ordinanza. Già perché, come è emerso dall’inchiesta della Dda, il gruppo criminale capeggiato da Rosario Marando sarebbe «parte di una rete di relazioni» che gli avrebbero garantito negli anni un costante approvvigionamento di droga. Quantitativi talmente grandi che, a loro volta, venivano messi «a disposizione di esponenti di altre organizzazioni criminali o di acquirenti al dettaglio».
Enormi profitti, per tutti
Insomma, una egemonia indiscussa quella dei Marando e di Rosario al punto che, sempre secondo quanto emerso dalle indagini, ben consapevole di dominare e condizionare il mercato della droga romano, «si sarebbe avvalso di metodi mafiosi per ottenere i risultati ed il monopolio delle vendite». Dalle indagini della Dda, dunque, sarebbe emerso come i Marando – organizzazione criminale composta da un numero considerevole di adepti – era in grado di garantire a ciascun sodale «introiti in denaro piuttosto consistenti». Profitti che addirittura, nel caso dei capi e degli organizzatori, crescevano in proporzione ai ruoli ricoperti all’interno della struttura piramidale. Ricavi che, secondo gli inquirenti romani, erano piuttosto rilevanti se misurati rispetto alla continuativa attività di spaccio – che non conosceva soste – registrata dalle indagini anche in relazione ai sequestri eseguiti sui pusher. (g.curcio@corrierecal.it)
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