“Rimborsopoli” ha aperto «una nuova fase politica, 13 anni di processo per un rimborso da 255 euro»
Carlo Guccione parla dopo la sentenza di assoluzione e a distanza di 4380 giorni «di processo continuo, quotidiano»

COSENZA Carlo Guccione trattiene a fatica l’emozione in due occasioni: la prima, quando ripercorrendo tredici anni di processo “Rimborsopoli” – concluso con l’assoluzione piena – rivolge un pensiero a moglie e figli «che mi sono stati sempre vicini» e poi quando lascia la parola ad uno dei suoi legali, l’avvocato Luca Acciardi. Che insieme all’omologo Paolo Greco ha difeso l’ex assessore regionale, oggi nella direzione nazionale del Partito democratico. In un noto hotel di Rende, Guccione convoca una conferenza stampa per riportare indietro la memoria ed analizzare 4380 giorni «di processo continuo, quotidiano, per un rimborso contestato da 255 euro». Nel corso della conferenza stampa, il dem ha sottolineato alcuni aspetti contraddittori di un procedimento che ha avuto ripercussioni significative sulla sua vicenda personale e politica fino all’esclusione dalla Giunta Regionale, nonostante un ampio consenso elettorale ottenuto. «Questo la dice lunga sul funzionamento della giustizia in Italia. Solo se un processo e una sentenza sono rapidi, si dà giustizia. Se i tempi si allungano, dopo 13, 14 anni, diventa un problema serio anche dal punto di vista della democrazia e dei diritti del cittadino».
Il silenzio e l’attesa
In questi anni, Guccione ha scelto il silenzio. «Non ho mai alzato la voce, mi sono difeso nel processo con caparbietà, con dignità, e alla fine è emersa la verità e quella vicenda ha portato all’avvio di una nuova fase politica e il Pd ha pagato un prezzo altissimo». Il dem lancia una bacchettata bipartisan a chi, in questi anni, «ha pensato di poter conquistare il potere puntando sul giustizialismo», quell’epoca – aggiunge Guccione – «lasciamola alle spalle» e chi «riceve un avviso di garanzia non deve dimettersi». La chiosa è rivolta a tutti «i cittadini che si imbattano nelle ingiustizie, che non hanno le spalle forti o le risorse economiche adeguate e rischiano di arrivare a verdetti infausti. La battaglia da fare è quella di lavorare per ottenere una giustizia che funzioni, e quindi, una giustizia giusta».
(f.b.)
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