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“Reset” a Cosenza, l’appello della procura e il faro sul gaming

I pm ritengono sussistente il «rapporto di mutuo scambio, su logica affaristica, tra imprenditori e Confederazione criminale»

Pubblicato il: 09/08/2025 – 10:52
di Fabio Benincasa
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“Reset” a Cosenza, l’appello della procura e il faro sul gaming

COSENZA Circa 250 pagine per raccogliere e ricostruire fatti e presunti reati oggetto di appello da parte della procura di Catanzaro. I sostituti procuratori della Dda, Vito Valerio e Corrado Cubellotti, dopo aver rappresentato l’accusa in aula nei maxi processi – ordinario ed abbreviato – scaturiti dall’inchiesta nome in codice “Reset” hanno deciso di ricorrere in appello avverso la sentenza emessa in primo grado il 19 dicembre 2024, nei confronti degli imputati che avevano optato per il rito alternativo. All’esito della camera di consiglio, la gup Fabiana Giacchetti aveva emesso il verdetto nei confronti di quasi il 50% degli imputati nel procedimento contro la ‘ndrangheta cosentina. Per i sostituti procuratori della Distrettuale Antimafia Catanzarese, ci sarebbero 12 posizioni da rivalutare con il giudizio di appello. Si va dagli assolti, tra i quali figura tra gli altri l’assessore comunale di Cosenza Francesco De Cicco, a coloro che non sono stati condannati per determinati reati contestati dall’accusa: Daniele Chiaradia (condannato a 1 anno e 8 mesi), Gianfranco Bruni (11 anni), Adolfo D’Ambrosio (20 anni), Ivan Montualdista (14 anni e 6 mesi) e Gianfranco Ruà (13 anni e 8 mesi).

Il gaming

E’ il settore del gaming ad occupare gran parte delle robuste motivazioni di appello dell’accusa. Come hanno avuto modo di rappresentare nel corso della fase dibattimentale del procedimento, i pm ritengono sussistente «un collegamento tra quattro gruppi imprenditoriali» legati da «un rapporto di mutuo scambio, su una logica affaristica esistente tra l’imprenditoria che si occupa dell’attività, dei giochi, la consorteria e alcuni esponenti della Confederazione criminale». Questo presunto sistema regola il business che garantisce danari e rafforzerebbe il potere economico dei clan. Da una parte, c’è chi verserebbe una sorta di dazio «nella bacinella della Confederazione (ne abbiamo parlato qui), dall’altra c’è chi eserciterebbe una sorta di «costrizione degli esercenti, cioè di coloro che vogliono installare macchine da gioco, ad istallare quelle dei soggetti indicati dalla criminalità organizzata». A supporto della ricostruzione proposta dalla procura vi sono anche alcune dichiarazioni di pentiti. Nicola Femia, ad esempio, riporta indietro la memori alle origini del rapporto con alcuni imputati coinvolti nel gaming e suggerisce un elemento importante. Il collaboratore di giustizia, infatti, come ribadisce il pm in sede di requisitoria «fu lui, per la prima volta, a spiegare, a introdurre, a vendere la doppia scheda e quindi il meccanismo truffaldino». Un altro pentito, Francesco Galdi si sofferma sul tema dei giochi e in particolare su alcuni soggetti che prenderebbero parte alla gestione di queste agenzie di scommesse per poi destinare «i proventi della loro attività, così come quella della gestione dei video poker, nella bacinella comune».

Le motivazioni della sentenza di primo grado

Il quadro descritto all’esito della sentenza di primo grado scaturita dal processo celebrato con il rito abbreviato evidenzia «la continua operatività di una confederazione di matrice ‘ndranghetistica durevole ed in grado di deliberare e governare il flusso delle incessanti vicende criminali». Per la gup, al vertice della Confederazione – come supposto anche dalla Dda di Catanzaro – ci sarebbe Francesco Patitucci che avrebbe assunto un ruolo di «coordinamento», assunto nei periodi di sua detenzione, dal reggente Roberto Porcaro, «al corrente delle principali dinamiche criminali di tutto il territorio e gestore della bacinella comune».
Questa sorta di sindacato di ‘ndrangheta sarebbe sorretto da una serie di gruppi e sottogruppi operanti come articolazioni autonome, ribadendo però che i presunti clan riferibili a D’Ambrosio, Di Puppo e Presta «non hanno mai ottenuto un riconoscimento giudiziale, a differenza di quella Lanzino – di cui i gruppi Patitucci e Porcaro costituiscono l’evoluzione, sub specie di enti capofila della più ampia confederazione – o del gruppo degli Abbruzzese». (f.b.)

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