‘Ndrangheta in Riviera, il boss-imprenditore Saverio Serra «voce dei Mancuso»
L’ascesa del 54enne di Vibo Valentia, condannato a 13 anni e 3 mesi, capace di riciclare capitali e aprire canali con la politica

LAMEZIA TERME «Non era un semplice delinquente, ha una mentalità imprenditoriale, quindi apparteneva a quella ‘ndrangheta imprenditoriale, di fatto un riciclatore, un imprenditore che gli era stato consegnato questo ruolo da parte dei Mancuso per investire al nord Italia». A parlare è il collaboratore di giustizia Andrea Mantella mentre descrive Saverio Serra, vibonese classe 1971, imputato nel processo nato dall’inchiesta “Radici” sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nella Riviera romagnola. L’accusa riguardava, tra l’altro, il controllo di locali della Riviera, gestiti con modalità mafiose per riciclare denaro della criminalità organizzata.
Il boss-imprenditore legato ai Mancuso
Mettendo a fuoco la figura del vibonese Saverio Serra, dall’inchiesta e all’esito dibattimentale ne esce fuori un profilo criminale significativo. Il 54enne – membro del clan Mancuso di Limbadi – è considerato il leader del gruppo, «vero vertice dello stesso, coerentemente con il suo spessore criminale». Lo scrivono nero su bianco i giudici del Tribunale di Ravenna nelle pagine delle motivazioni depositate nei giorni scorsi relative alle 21 condanne emesse in primo grado. Pena più pesante proprio quella inflitta a Serra, 13 anni e 3 mesi. Saverio Serra in buona sostanza era «deputato ad operare inserendosi nel tessuto economico emiliano-romagnolo», ricoprendo un ruolo di assoluta centralità. Il 54enne originario di Vibo Valentia, infatti, ha preso parte secondo i giudici a tutte le vicende patrimoniali al centro della corposa inchiesta ed ha intrattenuto rapporti personali con tutti i sodali.
Riferimento per l’appoggio politico
«Per il discorso tuo, lì, della politica… mi devi dire tu come vuoi che ci muoviamo, perché là sopra abbiamo delle grosse potenzialità, ti dico la sincerità verità». Uno degli aspetti più importanti dell’intera vicenda processuale è il “progetto” di Francesco Patamia (condannato a 11 anni e 2 mesi) di entrare in politica. Per i giudici, infatti, è «significativo che, rispetto a tale ambizione politica, i due Patamia si siano rivolti proprio a Saverio Serra». Quest’ultimo, infatti, avrebbe dovuto fare da tramite per ottenere un appoggio dal gruppo criminale calabrese.
Per come emerso dall’inchiesta e dalla fase dibattimentale, infatti, Serra ha immediatamente accolto l’idea di Patamia, «tanto da mostrarsi disponibile ad intervenire presso i suoi conoscenti in Calabria». Patamia ha lasciato intendere a Serra che questi «l’avrebbe dovuto raccomandare presso i suoi contatti in Calabria per fargli avere un efficace sostegno politico», scrivono i giudici nelle motivazioni. «È un giovanotto che interessa a me, lo sto portando avanti… si sta sistemando qua in Europa…».
Il peso tra i Mancuso, l’incontro al bar
C’è un incontro considerato cruciale dagli inquirenti e dai giudici e sarebbe avvenuto nel bar Gluck a Milano. Il dialogo intercettato dagli inquirenti, infatti, lascerebbe intendere come una buona parola da parte di Serra avrebbe avuto un suo peso tra i Mancuso e, per i giudici quindi «sarebbe stato indispensabile alla causa» perché la sua valenza evidentemente «non era solo personale, ma strettamente attigua agli interessi dello stesso clan Mancuso di Limbadi». Ed è proprio nel corso della conversazione che si registra un ulteriore passaggio chiave. Serra, infatti, in risposta all’esplicita richiesta di ausilio di Patamia, si vanta – annotano i giudici nelle motivazioni – del suo accreditamento nei confronti dei membri di spicco delle principali cosche di ‘ndrangheta. «(…) hai capito? Non abbiamo problemi… sono di famiglia proprio… proprio di famiglia…». (g.curcio@corrierecal.it)
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