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LA SENTENZA

‘Ndrangheta in Riviera: condannati esponenti del clan Mancuso – I NOMI

Al termine del processo “Radici” emesse condanne per 98 anni di carcere per 21 imputati

Pubblicato il: 23/01/2025 – 19:10
‘Ndrangheta in Riviera: condannati esponenti del clan Mancuso – I NOMI

Condanne per 98 anni in totale e 35.350 euro di multe per 21 imputati del processo “Radici”, sulle infiltrazioni della criminalità organizzata in Riviera: le ha emesse oggi la sezione penale del Tribunale di Ravenna, presieduta dalla giudice Cecilia Calandra. La camera di consiglio si era riunita lunedì. La Procura, con il pm della Dda di Bologna Marco Forte, aveva chiesto pene per oltre 110 anni. L’accusa riguarda tra l’altro il controllo di locali della riviera, gestiti con modalità mafiose per riciclare denaro della criminalità organizzata. Tra le condanne più pesanti ci sono quelle a 13 anni e 3 mesi per Saverio Serra (12mila euro di multa), considerato personaggio legato al clan ‘ndranghetistico Mancuso di Limbadi e attualmente in carcere (per lui il pm aveva chiesto 15 anni e 11 mesi). A seguire Francesco Patamia, condannato a 11 anni e 2 mesi (9.200 euro di multa), e Rocco Patamia con 10 anni e 6 mesi (8.600 euro di multa). Francesco Patamia fu candidato alla Camera alle elezioni politiche con la lista ‘Noi moderati’ e per lui la richiesta del pm era stata di 13 anni, mentre per il padre Rocco erano stati chiesti 11 anni e 10 mesi. Tra le parti civili del processo, in quanto vittima di minacce, l’ex portiere di serie A Marco Ballotta che sarà risarcito di 3mila euro da Giovanni Battista Moschella, condannato a 5 anni e 10 mesi di reclusione.

Le condanne:

  1. Antoniazzi Massimo: 2 anni e 8 mesi;
  2. Arena Domenico: 3 anni e 6 mesi;
  3. Bagala’ Marcello: 3 anni e 8 mesi;
  4. Bianchi Claudia: 2 anni;
  5. Caglio Giorgio Giuseppe: 3 anni;
  6. Carnovale Antonino: 5 anni e 11 mesi;
  7. Ciccarello Gregorio: 3 anni e 8 mesi;
  8. Di Maina Alessandro: 6 anni e 8 mesi;
  9. Forgione Giovanni: 2 anni e 5 mesi;
  10. Forgione Carmelo: 2 anni e 5 mesi;
  11. Gramendola Annunziata: 3 anni e 7 mesi;
  12. Maiolo Giuseppe: 3 anni e 9 mesi;
  13. Moschella Giovanni Battista: 5 anni e 10 mesi;
  14. Patamia Francesco: 11 anni e 2 mesi;
  15. Patamia Rocco: 10 e 6 mesi;
  16. Piperno Eleonora: 2 anni;
  17. Piperno Pietro: 2 anni e 4 mesi;
  18. Russo Patrizia: 3 anni;
  19. Scrugli Michele: 2 anni e 8 mesi;
  20. Serra Leoluca: 4 anni;
  21. Serra Saverio: 13 anni e 3 mesi.

Le reazioni

«Esprimo grande soddisfazione per l’esito di questo processo. Ancor prima del risarcimento economico, si afferma in maniera chiara la distanza e la tenuta di un tessuto economico vivo, resistente ad ogni tipo di ingressione della malavita. La nostra forza è nella rete istituzionale, fra enti, associazioni, forze dell’ordine. Il messaggio è chiaro: il nostro territorio è attento e pronto in difesa del lavoro onesto e della legalità nell’accezione più ampia del termine». Così Matteo Missiroli, sindaco di Cervia, assistito dall’avvocata Chiara Rinaldi, commenta la sentenza del processo “Radici” a Ravenna. Il Comune è tra gli enti per cui i giudici hanno stabilito risarcimento danni. «Quale sindaco – aggiunge – colgo l’occasione, unitamente al servizio legale interno, per ringraziare il prezioso supporto dei professionisti che da sempre ci affiancano con risultati eccellenti». 
Cgil Emilia-Romagna e Camera del Lavoro di Forlì/Cesena, presenti al processo ‘Radici‘ come parti civili, rappresentate dagli avvocati Andrea Ronchi e Andrea Gaddari, «esprimono soddisfazione» per la sentenza del Tribunale di Ravenna, «al termine di un dibattimento che ha dimostrato come il grave sfruttamento lavorativo e il caporalato siano realtà presenti nel nostro territorio anche in settori come quello del turismo, della ricezione alberghiera, dell’artigianato dolciario». La Cgil sottolinea come «già prima del processo aveva patrocinato i lavoratori sfruttati e segnalato alle autorità la gravità dei fatti, svolgendo un ruolo attivo di sentinella del territorio. La sentenza di oggi, di cui leggeremo attentamente le motivazioni una volta depositate, ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno all’organizzazione sindacale così come al lavoratore che si era coraggiosamente costituito parte civile. Ancora una volta è dimostrato che, dove non c’è legalità, il sindacato è leso nel suo ruolo costitutivo di rappresentanza e di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e pertanto continueremo il nostro impegno per contrastare i fenomeni degenerativi che sottraggono libertà e dignità delle persone».

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