Il Ponte sullo Stretto e le regionali: da Salvini a padre Spadaro, due sponde opposte di pensiero
Costruire un ponte può essere un atto di progresso scrive padre Spadaro ma poi riflette che custodire una distanza può essere un atto di civiltà, la tenuta di un dialogo

La campagna elettorale per le Regionali calabresi inizia a lievitare e i primi temi caldi sono la sanità e il reddito di dignità (Dostoevskij scrisse che la dignità non s’impara dal maestro di ballo ma dalla scuola del cuore, tema da tenere presente).
Argomento cardine del voto è anche senz’altro altro l’annunciata costruzione del Ponte sullo Stretto che dovrebbe cambiare la geografia di Calabria e Sicilia.
Opera imposta e non scelta dalle popolazioni locali, arrivata per decisionismo salviniano con il ministro delle Infrastrutture che prima era decisamente contrario mentre ora afferma che la prospettiva è cambiata e con lui «il progetto è solido».
Dibattito complesso per gli aspiranti governatori esprimersi se il Ponte ha un senso senza Alta velocità in Sicilia e Calabria, o anche rassicurare sugli impatti ambientali dei cantieri, rendicontare costi e benefici. Garantire sui rischi sismici di un territorio ad alto rischio è compito di persone con competenze scientifiche di gran livello che sappiano essere bravi oracoli senza rincorrere la propria ideologia o conflitti d’interesse con il proprio conto corrente.
A mio parere, per chi non ha competenze specialistiche, ha molto più senso discutere del Ponte come peculiarità culturale. Mi perdoneranno l’azzardo i candidati presidenti e i miei lettori ma alcune recenti prese di posizione sul tema da parte di padre Antonio Spadaro mi convincono di questa posizione.
Padre Spadaro, gesuita, già direttore della rivista “Civiltà Cattolica”, braccio destro di Papa Bergoglio nel suo pontificato, è attualmente sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione del Vaticano. padre Spadaro è soprattutto un messinese. La sua formazione umana e sentimentale risiede a Cariddi dove appena può torna a guardare lo Stretto portandosi nel Kindle le pagine di Omero dedicate a quelle amate sponde.
Padre Spadaro, da par suo, è intervenuto sul complesso e fascinoso argomento con due articoli: il primo su Avvenire del 17 agosto «Lo Stretto di Messina? E una questione culturale» poi ripreso, vista l’eco sollevata, anche su Art Tribune lo scorso 21 agosto: «Un Ponte vivo più nei discorsi che nei cantieri». Dibattito alto che ha infiammato intellettuali, ha acceso l’interesse della stampa internazionale ma anche l’attacco in prima pagina di Francesco Borgonovo sulla Verità che ha molto stigmatizzato il fatto che il collaboratore di Papa Francesco si sia trasformato in un “militante anti Ponte”. Categoria ideologica e riduttiva che poco calza all’abito culturale di padre Spadaro.
Il quale, invece, ci conduce per mano, con mirabile lettura, allo sbarco dei Greci a Messina dove trovano il punto di snodo verso nuove rotte mediterranee anticipando quello di altre civiltà straniere.
È il mito più che la Storia a caratterizzare quel braccio di mare tra due sponde tanto narrato dalla letteratura, ovvero di quello strumento che amplia la nostra comprensione del mondo e anche di noi stessi come calabresi e siciliani.
Possiamo rinunciare per sempre alle immagini che ancora vediamo uguali tra Scilla e Cariddi descritte da Omero nell’Odissea? Topos che sarà ripreso anche da Virgilio e Dante Alighieri per ragionare sull’armonia degli opposti. Perché quello sguardo sul paesaggio tra campo e controcampo è geografia sentimentale che non tiene conto di ingegnerie sviluppiste. Scrive padre Spadaro che «vicinanza e distanza coesistono». La distanza tra Scilla e Cariddi è minima ma ineliminabile.
La costruzione del Ponte distruggerebbe quel rapporto osmotico tra due regioni che hanno permesso che la Sicilia «porti in sé l’impronta del continente» e che la Calabria «abbia assorbito un’anima siciliana» come ben sanno i sapori e i dialetti di Reggio Calabria e anche a Palmi e San Luca mete di pellegrinaggi religiosi dell’altra sponda.
Costruire un ponte può essere un atto di progresso scrive padre Spadaro ma poi riflette che custodire una distanza può essere un atto di civiltà, la tenuta di un dialogo.
Lo Stretto di Messina non ha le stesse ragioni di essere attraversato da grandi opere come quelle di New York o di Öresund in Scandinavia. In quei luoghi il Ponte è nato su dei non luoghi non abitati da nessuno e Reggio Calabria e Messina non sono un tutt’uno come Istanbul o Budapest. Il Ponte finirebbe per aumentare la distanze tra due città in estremo contatto grazie a Scilla e Cariddi che guardano ad uno dei tratti di mare più belli del mondo.
Padre Spadaro ci ricorda che Tommaso Campanella scelse il nostro Stretto «come confine tra visione e realtà», e poi la nostalgia di Salvatore Quasimodo, e ancora l’epopea marina di Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo dove il protagonista Andrea Cambria percorre le devastate coste calabresi del 1943 per tornare a casa in Sicilia, e che il critico calabrese Walter Pedullà considerava uno dei più grandi romanzi italiani.
Non mi sembra quindi assolutamente passatista avviare un confronto sulla modernità sviluppista del Ponte e la preservazione dell’identità dei luoghi che hanno forgiato il nostro sentimento.
Penso che a me, come a molti altri calabresi, interessa conoscere il pensiero e le idee di chi vuol governare la nostra regione nei prossimi anni. Il dibattito sul Ponte resta laicamente aperto. (redazione@corrierecal.it)
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