Marcinelle, Monongah e Mattmark: terre insanguinate
Le tragedie di Monongah e di Mattmark non furono di serie B rispetto alla sciagura di Marcinelle, in Belgio, dove, l’8 agosto 1956, morirono 262 minatori. di cui 136 italiani; e, tra loro, c’erano qu…

Le tragedie di Monongah e di Mattmark non furono di serie B rispetto alla sciagura di Marcinelle, in Belgio, dove, l’8 agosto 1956, morirono 262 minatori. di cui 136 italiani; e, tra loro, c’erano quattro calabresi.
Il 6 dicembre 1907 c’era stato un precedente, ancora, se possibile, più devastante: nella miniera di Monongah, in Virginia, un’esplosione uccise un migliaio di minatori, di cui quasi 200 italiani. I calabresi che perirono furono 40, anche se non s’è mai saputo il numero esatto. A loro fu dedicato un monumento a San Giovanni in Fiore a cura del Consiglio regionale calabrese. Il primo e forse ultimo monumento a memoria della immane tragedia.
Le vittime “ufficiali” italiane erano immigrati soprattutto da località molisane, calabresi e abruzzesi. È bene ricordare che a quel tempo gli statunitensi consideravano gli italiani più simili ai neri che ai bianchi. Ciò è comprensibile se si considera che l’emigrazione di lavoratori italiani verso gli Stati Uniti iniziò sostanzialmente con l’abolizione dello schiavismo negli Stati Uniti (stabilita a livello federale nel 1865 con il XIII Emendamento della Costituzione) e il conseguente rifiuto dei neri di sopportare condizioni di lavoro, economiche o ambientali, che furono invece accettate dagli italiani.
I calabresi erano originari di San Giovanni in Fiore, San Nicola dell’Alto, Falerna, Strongoli, Gizzeria, Castrovillari e Lago.
La tragedia di Mattmark in Svizzera accadde il 30 agosto 1965, dove crollò una diga che spezzò 88 vite, di cui 56 italiane, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci e un apolide.
Ancora San Giovanni in Fiore pagò il prezzo più alto con 7 lavoratori morti. Questi i loro nomi: Giuseppe Audia, Gaetano Cosentino, Fedele Laratta, Francesco Laratta – figlio di Fedele -, Bernardo Loria, Antonio Talerico e Salvatore Veltri.
Al processo elvetico, nel 1972, i 17 imputati furono tutti prosciolti e la sentenza di assoluzione venne confermata in appello dal tribunale cantonale del Vallese nel corso dello stesso anno. Alle famiglie delle vittime, che avevano proposto l’appello, fu addebitata la metà delle spese processuali.
In Italia, il primato di mortalità spetta alla miniera di zolfo Cozzo Disi di Casteltermini, nell’Agrigentino. Lì, il 4 luglio 1916 morirono 89 solfatari. L’ultimo grande disastro minerario avvenne nel maggio del 1954 nella miniera di lignite di Ribolla, nel Grossetano: uno scoppio di grisù uccise 43 minatori.
La tragedia accomunò tanti lavoratori dalla “faccia sporca”, annullando le differenze tra nazionalità. Marcinelle, Monongah e Mattmark furono anche e soprattutto tragedie della provincia italiana.
Tra il 1946 e il 1956 più di 140mila italiani varcarono le Alpi per andare a lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia. Era il prezzo di un accordo tra Italia e Belgio che prevedeva un gigantesco baratto: l’Italia doveva inviare in Belgio 2mila uomini a settimana e, in cambio dell’afflusso di braccia, Bruxelles si impegnava a fornire a Roma 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore.
Perché si riparla di miniere?
Negli anni recenti il Ministero dell’Ambiente ha pubblicato un censimento chiamato “I siti minerari italiani”. In quella mappa la Calabria contò 60 giacimenti principalmente di zolfo e feldspati (utilizzati per la produzione di ceramiche e vetro), di grafite, salgemma, caolino, oro, argento, rame.
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