Il mare che resiste oltre la tregua delle estati (lo ha fatto Castelvolturno, ma è possibile anche in Calabria)
Il mare d’inverno non è solo un’immagine poetica. È un’ipotesi di futuro. Un modo di abitare diversamente la bellezza, di restare fedeli ai luoghi anche quando non sono più cartolina

Esiste un luogo che non concede alle stagioni la facoltà esclusiva di decretare quando il mare debba vivere. A Castelvolturno, sì, non proprio Capri, i lidi non si chiudono alla fine di settembre: restano aperti, riconvertiti in luoghi di incontro sospesi nel tempo, dove si cena guardando il mare, ci si discute, si assaggia qualcosa, si guardano le partite. Un progetto maturato sulla lungimiranza degli imprenditori balneari e del sindaco, che hanno osato restituire alla costa la funzione di spazio fluido, capace di attraversare le stagioni.
Qui la politica non ha tolto: ha restituito. Il sindaco Pasquale Marrandino ha chiamato la bonifica del litorale domizio non un gesto estemporaneo, ma la restituzione di una linea di orizzonte a una comunità sfiduciata. Il risultato è che quest’estate molti napoletani hanno preferito restare — e non andare altrove — perché il paesaggio è tornato ad avere un senso vivo. In Calabria qualcosa si muove. Già lo scorso anno l’assessore regionale Giovanni Calabrese ha presentato un atto d’indirizzo che autorizza i lidi ad aprire tutto l’anno, come primo passo verso una vera destagionalizzazione: «Uno sviluppo che genera occupazione, e che trattiene la gente in Calabria. Non solo in luglio-agosto, ma oltre».
Un invito esplicito a rompere il mito che il turismo si misuri solo nelle file agli ombrelloni. Ma non basta una delibera, ci vuole una cultura del persistere. Ecco perché la Calabria ha bisogno di sindaci che parlino di futuro, non di emergenza. E allora, la domanda non è più “perché lo fanno altrove?”, ma “quando lo facciamo noi?”. Reggio, Tropea, Diamante, Locri: non serve inventare nulla, basta riconoscere che il mare d’inverno può essere teatro di cultura, ossigeno sociale, pausa sapienziale. Immaginate lidi che diventano teatri effimeri, biblioteche con veranda sulla sabbia, cucine all’aperto, festival, trilogie musicali.
Il mare d’inverno non è solo un’immagine suggestiva. È una proposta di confine: tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare. Una linea sottile tra resistenza e trasformazione. Non è nostalgia né illusione: è cura del tempo e dei luoghi.
Intendiamoci: la Calabria non ha bisogno di romanticherie. Ha bisogno di intelligenza applicata, di visioni radicate, non effimere. Le stagioni della costa non devono essere sempre e solo “estate a pieno regime”, seguite da mesi vuoti. Il turismo non è un susseguirsi di date da vendere, ma una narrativa del luogo che merita di essere scritta anche d’inverno.
Castelvolturno, per anni evocazione di degrado, infiltrazioni criminali e discariche abusive nascoste sotto il cemento – uno dei luoghi più malfamati d’Italia – oggi è paradigma di rinascita grazie a un’ampia bonifica del litorale domizio, sostenuta da ingenti fondi regionali e impegno istituzionale.
Restare aperti è già una rivoluzione. La Calabria può farlo, se impara a restare davanti al mare che non va in letargo, con una visione che non smonta mai e adeguato sostegno amministrativo.
Il mare d’inverno non è solo un’immagine poetica. È un’ipotesi di futuro. Un modo di abitare diversamente la bellezza, di restare fedeli ai luoghi anche quando non sono più cartolina. È lì che si definisce l’identità di una comunità. E Locri? (redazione@corrierecal.it)
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