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In fuga dall’Iran, scambiata per scafista nella Locride. Ma contro Marjan Jamali «nessun elemento»

Per i giudici, l’altro imputato, Amir Babai, invece era «un membro dell’equipaggio». Secondo i racconti della giovane la difese dalle violenze subite

Pubblicato il: 11/09/2025 – 17:15
di Mariateresa Ripolo
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In fuga dall’Iran, scambiata per scafista nella Locride. Ma contro Marjan Jamali «nessun elemento»

LOCRI Quattordicimila dollari per viaggiare insieme al figlio su una imbarcazione che dalla Turchia li avrebbe potuti condurre a una nuova vita in Europa. All’arrivo Marjan Qaderi (Jamali) è stata però arrestata con l’accusa di aver svolto il ruolo di scafista nel corso di uno sbarco terminato a Roccella Jonica nell’ottobre 2023. Un’accusa che non ha retto al processo celebrato a Locri, e che ha portato all’assoluzione della donna lo scorso giugno. Secondo i giudici del Tribunale di Locri che hanno depositato le motivazioni, a carico della donna, difesa dall’avvocato Giancarlo Liberati, non ci sono «elementi atti a descrivere un concreto contributo fornito dalla donna». Giudici che hanno invece ritenuto colpevole l’altro imputato nel processo, Amir Babai, condannato a 6 anni e 1 mese.

Il viaggio dalla Turchia e le accuse

Nel corso del processo la 30enne ha riferito di essere fuggita dall’Iran grazie all’aiuto del padre che aveva preso contatti con un trafficante e aveva pagato novemila euro per lei e cinquemila per il figlio, quale prezzo della traversata verso l’Europa. La donna, madre di un bambino di 9 anni, ha sempre professato la propria innocenza: «Sono venuta in Italia per dare un’altra vita a mio figlio, qui non abbiamo nessuno e ha bisogno di me», ha raccontato la giovane quando chiese di poter parlare davanti ai giudici del tribunale di Locri. La donna si è difesa dall’accusa lanciata da tre uomini presenti sull’imbarcazione partita dalla Turchia e che secondo i racconti della 30enne avrebbero abusato di lei. Alla sbarra anche un 31enne iraniano Amir Babai, difeso dall’avvocato Carlo Bolognino. L’uomo ha raccontato di aver tentato di difendere la donna dagli abusi, e per questo avrebbe subito la ritorsione dei tre che una volta sbarcati – poi facendo perdere le proprie tracce – hanno puntato il dito contro i due, accusandoli di essere gli scafisti. 

Le motivazioni

Nelle motivazioni i giudici del Tribunale di Locri, sulla posizione della donna scrivono che «le ulteriori risultanze istruttorie non hanno restituito elementi atti a descrivere un concreto contributo fornito dalla donna, a bordo dell’imbarcazione, alla gestione dei migranti o, in senso lato, alla traversata”. A favore della donna anche il fatto che una volta salita a bordo dell’imbarcazione sia stata costretta a consegnare il cellulare come tutti gli altri passeggeri. E ancora, il fatti che «abbia avuto la possibilità di salire sopracoperta solo in ragione dell’infatuazione avuta dal trafficante nei suoi confronti».
Diverse le conclusioni a cui giudici sono arrivati per analizzare la posizione di Amir Babai. Il giovane ha dichiarato di aver pagato 8mila dollari per la traversata, ma secondo i giudici che lo hanno condannato in primo grado non era «un passeggero comune», ma – scrivono – «era un membro dell’equipaggio, libero di muoversi e agire sul natante». «Tanto premesso, – aggiungono – risulta provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il contributo causale fornito da Babai Amir alla vicenda migratoria, per aver, in concreto, radunato i migranti e gestito cibo a bordo. Tale contributo è da intendersi, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, come indiscutibilmente rilevante, in termini causali, per la realizzazione della traversata».

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