Due Papi, un solo grande dono di sapienza
La riflessione di Nunzio Raimondi su alcuni tratti comuni tra Papa Benedetto XVI e Papa Leone XIV

LAMEZIA TERME E’ da tempo che vado scrutando, con una specie di prudente curiosità, i primi passi del magistero di Papa Leone XIV e, ogni giorno di più, si accresce in me lo stupore per ritrovare in questo nuovo Pontefice molti dei tratti del grandissimo Papa Benedetto XVI che ci è stato donato in tempi davvero bui e che ha rischiarato, con così abbondanti virtù, la nostra vita. Mi sono sempre sentito un privilegiato per aver vissuto quel tempo magnifico nel quale, grazie a quel Papa, sono passato dalla “fanciullezza della fede” ad una “fede adulta”: in una parola mi sono fatto Cristiano. Stamattina, avendo qualche minuto a disposizione per scrivere di questo sentimento di riconoscenza, vorrei ripercorrere insieme a voi, cari lettori, i contenuti di alcune delle virtù principali che ho riscoperto, nel loro significato più profondo, proprio attraverso il magistero di Papa Benedetto; e lo faccio per invitarvi a scoprire insieme le rassomiglianze e le consonanze fra questo due Pontefici: Benedetto e Leone. Il primo tratto comune mi pare di intravederlo nella virtù dell’umiltà. Insegnava Papa Benedetto -che la Sede Apostolica sta forse tardando a proclamare dottore della Chiesa…- che “…il contrario dell’umiltà è la superbia, come la radice di tutti i peccati. La superbia che è arroganza, che vuole soprattutto potere, apparenza, apparire agli occhi degli altri, essere qualcuno o qualcosa, non ha l’intenzione di piacere a Dio, ma di piacere a se stessi, di essere accettati dagli altri e – diciamo – venerati dagli altri.” Giunti sulla cattedra di Pietro, quindi sulla cima del mondo, condannare l’«io» superbo, che sa tutto, per piacere solo a Dio, significa dare un messaggio forte e chiaro: ”Essere cristiano vuol dire superare questa tentazione originaria, che è anche il nucleo del peccato originale: essere come Dio, ma senza Dio; essere cristiano è essere vero, sincero, realista.”(come spiegare meglio di Papà Benedetto questo concetto fondamentale…). E mi pare che Papa Leone si ponga in perfetta continuità con questo pensiero umile: non “parteggia” per nessuno, non è ideologico, perché vuol “piacere soltanto a Dio”! Un secondo tratto comune è la verità. Papa Benedetto ha insegnato che: “…l’umiltà è soprattutto verità, vivere nella verità, imparare la verità, imparare che la mia piccolezza è proprio la grandezza, perché così sono importante per il grande tessuto della storia di Dio con l’umanità. Proprio riconoscendo che io sono un pensiero di Dio, della costruzione del suo mondo, e sono insostituibile, proprio così, nella mia piccolezza, e solo in questo modo, sono grande.” E guardate come è realista questo nostro Papa Leone. In una recente catechesi sull’essere Cristiano, ha offerto una lettura della verità come umanità di Cristo, che mi ha lasciato letteralmente senza parole: “Nella sete di Cristo possiamo riconoscere tutta la nostra sete. E imparare che non c’è nulla di più umano, nulla di più divino, del saper dire: ho bisogno. Non temiamo di chiedere, soprattutto quando ci sembra di non meritarlo. Non vergogniamoci di tendere la mano. È proprio lì, in quel gesto umile, che si nasconde la salvezza…. Questo è il paradosso cristiano: Dio salva non facendo, ma lasciandosi fare. Non vincendo il male con la forza, ma accettando fino in fondo la debolezza dell’amore.” E confrontateli sulla carità, entrambi partono dalla verità per valorizzare l’alterità come esperienza alta di carità. Insegnava Papa Benedetto: “E conoscendo questa verità, cresciamo anche nella carità che è la legittimazione della verità e ci mostra che è verità. Direi proprio che la carità è il frutto della verità – l’albero si conosce dai frutti – e se non c’è carità, anche la verità non è propriamente appropriata, vissuta; e dove è la verità, nasce la carità. ….Impariamo questo realismo: non voler apparire, ma voler piacere a Dio e fare quanto Dio ha pensato di me e per me,e così accettare anche l’altro. L’accettare l’altro, che forse è più grande di me, suppone proprio questo realismo e l’amore della verità; suppone accettare me stesso come «pensiero di Dio», così come sono, nei miei limiti e, in questo modo,n ella mia grandezza. Accettare me stesso e accettare l’altro vanno insieme: solo accettando me stesso nel grande tessuto divino posso accettare anche gli altri, che formano con me la grande sinfonia della Chiesa e della creazione. Io penso che le piccole umiliazioni, che giorno per giorno dobbiamo vivere, sono salubri, perché aiutano ognuno a riconoscere la propria verità ed essere così liberi da questa vanagloria che è contro la verità e non mi può rendere felice e buono.” E sulla nostra sete di amore, così Papa Leone: “Sulla croce, Gesù ci insegna che l’uomo non si realizza nel potere, ma nell’apertura fiduciosa all’altro, persino quando ci è ostile e nemico. La salvezza non sta nell’autonomia, ma nel riconoscere con umiltà il proprio bisogno e nel saperlo liberamente esprimere…. E qui si apre una porta sulla vera speranza: se anche il Figlio di Dio ha scelto di non bastare a sé stesso, allora anche la nostra sete – di amore, di senso, di giustizia – non è un segno di fallimento, ma di verità”. Entrambi declinano la verità nella ricchezza dell’alterità e, quindi, nella carità. Un’altra virtù che mi sembra di ravvisare in entrambi è la profondità del pensiero, tutto intriso di Sapienza Cristiana. Nessuna frase è improvvisata, tutto è pensato, meditato, ogni parola merita di essere ricordata: niente di superficiale, essendo tutto assistito dalla premura di arrivare dritto alla mente ed al cuore, senza sbagliare! Ed infine la dolcezza. In entrambi i pontefici essa si coniuga sotto la forma della mitezza,della mansuetudine. Qualche anno fa, discorrendo con un cardinale della personalità di Papa Benedetto, mi disse: ”ha lo sguardo sereno di un un agnello che sta per essere immolato”. E di recente, da un cardinale elettore al quale chiedevo dell’esperienza interiore dell’ultimo conclave, mi sentii rispondere della virtù che aveva incantato in Leone: la mitezza. Ed ho riflettuto su questo ripercorrendo il pensiero di Papa Benedetto, per il quale dall’umiltà e dalla fecondità dell’alterità, scaturisce la mansuetudine: “… «sopportandovi a vicenda nell’amore»: mi sembra che proprio dall’umiltà segua questa capacità di accettare l’altro. L’alterità dell’altro è sempre un peso. Perché l’altro è diverso? Ma proprio questa diversità, questa alterità è necessaria per la bellezza della sinfonia di Dio. E dobbiamo, proprio con l’umiltà nella quale riconosco i miei limiti, la mia alterità nel confronto con l’altro, il peso che io sono per l’altro, divenire capaci non solo di sopportare l’altro, ma, con amore, trovare proprio nell’alterità anche la ricchezza del suo essere e delle idee e della fantasia di Dio. …Questo non vuol dire debolezza. Cristo può essere anche duro, se necessario, ma sempre con un cuore buono,r imane sempre visibile la bontà, la mansuetudine.” E guardate Papa Leone, discorrendo del nostro bisogno di amore; sembra che continui il ragionamento di Papa Benedetto: “Se abbiamo il coraggio di riconoscerla, possiamo scoprire che anche la nostra fragilità è un ponte verso il cielo. Proprio nel chiedere – non nel possedere – si apre una via di libertà perché smettiamo di pretendere di bastare a noi stessi.” Dall’umiltà viene la carità e da questa il riconoscimento del bisogno di essere amati e da qui il coraggio del perdono. Secondo Papa Leone il perdono, quello vero, “nasce quando possiamo guardare in faccia il nostro bisogno e non temere più di essere rifiutati”. Quante somiglianze, quante affinità, quante corrispondenze! Che dono grande per la Chiesa. Alleluja!
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