Peppe Valarioti in un docufilm, «la voce che la ’ndrangheta non è riuscita a spegnere» – VIDEO
Il giornalista e film-maker Gianluca Palma in “Medma non si piega” racconta la vicenda del politico e poeta civile ucciso nel 1980. «L’obiettivo? Far conoscere il personaggio ai giovani»

COSENZA Filosofia, archeologia, lotte sindacali, passione civile e una battaglia senza paura contro la ’ndrangheta. Dentro la breve ma intensissima vita di Peppe Valarioti c’è molto più di una storia personale: c’è una parte fondamentale della memoria collettiva calabrese, anzi italiana. Una memoria che dovrebbe appartenere a tutti, in particolare a chi vive in questa terra, ma che è finita ai margini del racconto pubblico, insieme a quella di Giovanni Losardo, Rocco Gatto, Luigi Ioculano e di tante altre vittime innocenti (donne, bambini, uomini) uccise dai clan e dimenticate. Tragedie senza giustizia. Storie ignorate. Silenzi da rompere.
Per questo è nata Ugly Films, piccola società cinematografica indipendente fondata in Calabria da circa due anni, che ha scelto di produrre docufilm per far luce su queste storie e “fare rumore”. L’obiettivo: raccontarle al grande pubblico e chiedere che vengano riaperti i processi rimasti impuniti, anche a distanza di 45 anni.
Di questo – e molto altro – si è parlato nei giorni scorsi al cinema Citrigno di Cosenza, in occasione della proiezione del documentario Medma non si piega, dedicato proprio alla figura e alle lotte di Peppe Valarioti. Il film, scritto e diretto dal giornalista e film-maker Gianluca Palma, è stato realizzato in collaborazione con Giulia Zanfino e Mauro Nigro, ed è stato presentato nell’ambito del progetto “La scuola a cinema”, promosso ogni anno da Giuliana Lanzillotta e Giuseppe Citrigno. «Noi siamo una piccola casa di produzione e abbiamo dedicato i nostri primi progetti a Peppe Valarioti e “Chi ha ucciso Giovanni Losardo?”, della mia collega Giulia Zanfino, perché sono pagine di storia d’Italia imprescindibili – ha spiegato Palma – Adesso il mio obiettivo è quello di trovare le risorse economiche necessarie per realizzare un lungometraggio fiction, per far rivivere appieno il personaggio di Valarioti e quegli anni così caldi nel sud Italia. Che sia davvero d’impatto per le nuove generazioni e il grande pubblico».
Gianluca ricordi il momento in cui hai scoperto la storia di Peppe Valarioti?
«Sì, tanti anni fa, mentre studiavo all’Università a Roma e nel tempo libero facevo l’attivista con l’associazione daSud. Mi pare che fosse l’autunno del 2009 e c’era una riunione per una manifestazione contro il ponte sullo Stretto, nella loro sede al quartiere Pigneto. Entro e ritrovo la Calabria in miniatura in quella saletta. Poster di Rino Gaetano, una scaffalatura piena di libri e riviste con titoli sulla ’ndrangheta e scritte No Ponte. Poi magliette appese su cui era stata stampata, a caratteri cubitali, la frase “Se non lo facciamo noi, chi lo farà?”. Non sapevo ancora che fosse uno degli insegnamenti di Peppe Valarioti. Non mi ero mai interessato molto alle mafie prima di allora. Anzi, ero fuggito dalla Calabria, anche io come tanti. Grazie a daSud ho appreso le storie delle vittime innocenti, del movimento anti-’ndrangheta e ho deciso di occuparmene come giornalista».

Cosa ti ha portato, dopo quell’incontro, a realizzare un docufilm su di lui?
«Dopo la laurea in Scienze Politiche a Roma Tre, mi sono formato professionalmente come cronista, prima con il quotidiano online Nuovo Paese Sera, poi ho conseguito il praticantato con il master in giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino. Ho iniziato maneggiare le videocamere e realizzare le mie prime inchieste video. Quindi sono tornato in Calabria per provare a raccontare la mia terra, perché mi ero accorto che non faceva quasi mai notizia a livello nazionale, se non per le tragedie e sempre raccontata in modo stereotipato. Per fortuna, dato che amo collaborare e condividere idee e progetti, ho conosciuto Giulia Zanfino e Mauro Nigro che stavano iniziando a lavorare al docufilm su Giovanni Losardo e insieme abbiamo deciso di unire le forze per autoprodurci e raccontare, per il grande schermo, la Calabria rimasta nell’ombra».
Qual è l’immagine della Calabria che emerge nel documentario su Valarioti?
«Chi vedrà il docufilm “Medma non si piega” ascolterà gli audio di Peppe Valarioti che insegna filosofia del bene comune, contro le ingiustizie. Parla di bene collettivo contrapposto agli individualismi e alle violenze. Nell’archivio di Peppe abbiamo trovato audio inediti delle lotte degli anni ’70. Come la manifestazione dei 30 mila calabresi a Roma, che protestavano contro il governo Andreotti che aveva promesso migliaia di posti di lavoro, con la posa della ‘prima pietra’ del porto di Gioia Tauro, dove sarebbe dovuto nascere anche un grande indotto siderurgico, mai realizzato. Ecco, Peppe il 31 ottobre 1978, con un registratore, raccolse le testimonianze dei manifestanti nella Capitale e fu a capo della delegazione di sindacalisti e partiti ricevuta al Senato per portare le istanze di una terra, dove già allora la disoccupazione galoppava e la ’ndrangheta, con il boss Mommo Piromalli in testa, faceva il salto industriale, grazie alle connivenze dello Stato con i paraocchi. O forse fintamente distratto dal periodo degli Anni di Piombo e da avvenimenti che, evidentemente, all’epoca destavano più attenzione, come il sequestro Moro. Era proprio quel periodo di grande fermento sociale e, purtroppo, di ascesa dei clan in Calabria».
Perché avete scelto il titolo “Medma non si piega”?
«Perché Valarioti amava la grecità, essendo nato e cresciuto nella culla dell’Antica Medma magnogreca, la colonia fondata tra il ‘400 e il ‘600 a.C. dai Locresi che si spostarono dalla zona Jonica verso il Tirreno per ampliare i loro commerci. Mentre Peppe cresceva, Rosarno veniva edificata e c’erano scavi ovunque. Lui era un giovane lungimirante e aveva capito l’importanza di quel patrimonio di storia, arte e cultura che lo circondava. Una storia archeologica sommersa, proprio come quella di Peppe Valarioti, ucciso, senza giustizia e dimenticato. E poi abbiamo voluto riprendere un suo intervento a uno dei pochi comizi politici dove parlava dal palco. In quella campagna infuocata del maggio 1980, quando si votava per rinnovare il consiglio provinciale e quello regionale in Calabria, la ’ndrangheta aveva dato fuoco alla macchina di Peppino Lavorato, storico leader comunista del territorio e all’esterno della sezione del partito. Peppe salì sul palco ed esclamò che i clan “si sbagliavano di grosso” se pensavano di intimidire il Pci che denunciava la tracotanza mafiosa, perché “«”I comunisti non si piegheranno mai”».
Tu più volte hai detto che la storia di Valarioti continua a riguardarci anche oggi.
«Sì, perché a mio avviso è un caso gravemente irrisolto e impunito. Noi abbiamo provato a metterne in luce tutta la complessità. Peppe era consigliere comunale a Rosarno, eletto a maggio 1979 con il PCI di cui era segretario cittadino. E mi hanno raccontato che, proprio da consigliere comunale, dava battaglia nel denunciare la corruzione anche all’interno del Psi che all’epoca era il partito di riferimento del clan Pesce. Sono gli anni del Mandamento Tirrenico, con a capo Mommo Piromalli, che gestiva i lavori per la costruzione del V centro siderurgico di Gioia Tauro e dava lavoro alle varie famiglie mafiose del territorio. Un grande scippo di soldi pubblici a scapito dei giovani disoccupati, figli di contadini, che aspettavano il lavoro etico e giusto. Peppe, che era anche sindacalista, aveva capito tutto e denunciava apertamente i traffici illeciti della ’ndrangheta che diventava forza industriale».


Portare avanti due progetti così impegnativi in modo indipendente non deve essere stato facile. Come ci siete riusciti?
«Per noi si trattava, anzitutto, di una missione non solo giornalistica, ma anche politica, sociale e culturale. Non è pensabile che quando si parla di mafie, si pensi solo alla magistratura, e alle Stragi in Sicilia. Peppe Valarioti e Giovanni Losardo sono stati i primi due omicidi di stampo-politico mafioso in Calabria, a dieci giorni di distanza l’uno dall’altro, che raccontano quanto siano tuttora così soggiogati quei territori, la Piana di Gioia Tauro e il Tirreno cosentino.
Per realizzare “Medma non si piega” abbiamo girato tra Rosarno e la Piana per 4 anni. Sia perché senza le risorse economiche necessarie si lavora più lentamente, sia perché quella dell’omicidio Valarioti è una storia molto complessa. Una vicenda che tocca, ancora oggi, tante sensibilità, familiari, di amicizia e di persone allora molto giovani che rischiarono la vita nella lotta politica. Per questo volevamo rispettarli tutti e raccontare in modo approfondito e corretto. Siamo arrivati anche a Roma e a Pisa per altre interviste centrali nel docufilm. Devo ringraziare di cuore la famiglia Valarioti e la professoressa Carmela Ferro, tuttora innamoratissima di Valarioti, che ci hanno aperto le porte anzitutto dei loro cuori, colmi di dolore, e ci hanno concesso materiali inediti audio e fotografici. Le tre sorelle di Peppe, così come la signora Ferro, hanno ancora la sofferenza, evidente, negli occhi. Eppure ci hanno fatto entrare nella casa natale di Peppe ogni volta che lo abbiamo chiesto e si sono messi a completa disposizione. Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto tra il 2020 e il 2021, dopo l’anniversario dei 40 anni dall’omicidio Valarioti, e avevamo promesso loro che, al massimo massimo entro giugno 2025, in occasione dei 45 anni dall’omicidio, avremmo provato a restituire un po’ di dignità alla figura di Peppino e alla loro storia familiare. Ma dobbiamo ringraziare anche gli attivisti della Casa del Popolo “Valarioti” di Rosarno, la maggior parte ex compagni del Pci, che hanno militato ed eletto il giovane Peppe segretario di partito, per aver collaborato anche loro fattivamente.
Inoltre, grazie all’impegno di Amalia Giordano, giornalista molto attiva sul territorio e impegnata socialmente, è nata una partnership importante con l’Anpi provinciale di Reggio Calabria, che ci ha aiutato a concludere le riprese e ci sta supportando con la raccolta fondi».
Quale reazione avete avuto dagli studenti durante la proiezione a Cosenza?
«Anzitutto da cosentino ero molto emozionato di presentarlo, per la prima volta, nella mia città. Ma ero molto preoccupato del fatto che gli studenti potessero annoiarsi o fare molta confusione di fronte a un’ora e mezza di docufilm, di carattere storico e d’inchiesta come questo. Anche se abbiamo lavorato molto in post-produzione, per dare un ritmo fluido al montaggio, e ci sono le musiche di Daniele Sorrentino, Hacienda-D che lo rendono ancora più avvincente, temevo comunque per il fatto che a scuola non credo che si parli molto delle mafie, men che meno dell’anti-’ndrangheta. Quindi che risultasse poco comprensibile il tutto. Invece i ragazzi sono rimasti seduti per tutto il tempo e poi hanno posto domande molto interessanti, anche grazie alla presenza di ospiti impegnati in prima linea su questo fronte, come Stefano Musolino, procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, che di recente ha arrestato il boss Pino Piromalli, da anni reggente del clan dopo la morte del patriarca Mommo, e Arcangelo Badolati giornalista che ha scritto numerose inchieste e libri su questo tema. Ai ragazzi abbiamo anche parlato della storia di Giovanni Losardo, a cui la mia collega Giulia Zanfino ha dedicato il suo docufilm».

Al momento dove è possibile vedere “Medma non si piega” e “Chi ha ucciso Giovanni Losardo?”
«Prima li abbiamo presentati nei loro territori di appartenenza, quindi Cetraro e Rosarno, perché era doveroso. E per adesso stiamo organizzando eventi ad hoc dove ce lo chiedono. A breve partirà un calendario di proiezioni in collaborazione con la Città Metropolitana di Reggio Calabria, sia per il pubblico sia per le scuole. Il 3 dicembre saremo al cinema Arsenale di Pisa, ospiti dell’Associazione dei calabresi “Esperia”, e stiamo chiedendo a diversi Comuni, in tutta Italia, che dispongono di un Fondo per la legalità del ministero dell’Interno, di invitarci, aiutarci con la raccolta fondi e organizzare insieme le proiezioni nei rispettivi territori. Ma stiamo anche cercando una distribuzione per sperare che diventino, entrambi, prodotti per il cinema o la tv». (f.veltri@corrierecal.it)
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