Assolto un imprenditore lametino dopo 12 anni. Era accusato di essere un riferimento della cosca Giampà
Confermata la prima sentenza risalente al 2019. Risentiti anche tre collaboratori di giustizia ma i giudici hanno ribadito l’estraneità ai fatti

CATANZARO Si è concluso il processo d’Appello celebrato nei confronti di un noto imprenditore lametino, Antonio Gallo (difeso dall’avvocato Aldo Ferraro) coinvolto nell’operazione “Piana” condotta dalla Procura Distrettuale di Catanzaro ed eseguita dalla DIA di Catanzaro, nella quale 4 imprenditori lametini operanti nel settore edile furono tratti in arresto la mattina del 29 maggio del 2013, con l’accusa di far parte della cosca Giampà in qualità di “imprenditori di riferimento” della cosca.
Due di loro, in particolare, furono giudicati con rito abbreviato e condannati con sentenza irrevocabile, mentre Antonio Gallo e un altro imputato scelsero di essere giudicati con rito ordinario, di cui è stato appunto concluso il giudizio di appello, con una assoluzione ed una condanna.
L’assoluzione
All’esito dell’udienza di ieri, infatti, la Terza Sezione della Corte di Appello di Catanzaro (Presidente Battaglia, a latere Ciriaco e Fontanazza), ha confermato la sentenza di assoluzione che il Tribunale Collegiale di Lamezia Terme aveva già pronunciato a luglio del 2019 proprio nei confronti dell’imprenditore lametino, rigettando l’atto di appello proposto dal Pm della Distrettuale di Catanzaro. La Procura, infatti, riteneva che il giudice di primo grado avesse erroneamente ritenuto non attendibili i collaboratori di giustizia che in tutti gli altri processi celebrati nel lametino erano stati sempre ritenuti attendibili e credibili. Ciò aveva indotto i giudici d’Appello ad accogliere la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. E così, nei mesi scorsi, sono stati risentiti in aula i collaboratori di giustizia Giuseppe Giampà, Angelo Torcasio e Battista Cosentino, con i tre che hanno ribadito le accuse mosse nei confronti dell’imprenditore, senza tuttavia riuscire ad individuare in cosa si sarebbe concretizzato l’apporto dell’imputato a favore della cosca, né cosa la cosca avrebbe fatto per lui.
Il controesame e la sentenza
Dal controesame dell’avvocato Ferraro è, infatti, emersa la genericità delle dichiarazioni rese dai collaboratori, nessuno dei quali è stato in grado di riferire alla Corte una sola circostanza che potesse dare concretezza all’ipotesi accusatoria. A maggior ragione considerando che l’assoluzione di primo grado si fondava sulla rigorosa dimostrazione, fornita dalla difesa, che gli appalti che la Procura riteneva fossero stati affidati all’imprenditore su pressione della cosca, gli erano stati invece affidati per ragioni di convenienza economica, al di fuori da contaminazioni mafiose o pressioni di sorta. All’esito di tale rinnovazione istruttoria, il Procuratore Generale ha chiesto la condanna dell’imprenditore a 5 anni di reclusione, mentre l’avv. Ferraro, per l’imputato, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Conclusioni integralmente accolte dai giudici di appello che hanno assolto Antonio Gallo per non avere commesso il fatto. Secondo il legale lametino «la doppia assoluzione pronunciata nei confronti dell’imprenditore Antonio Gallo restituisce dignità a chi è stato suo malgrado sottoposto ad oltre un anno di misura cautelare carceraria e domiciliare, e ad oltre 12 anni di processo, e che non ha mai perso fiducia nella giustizia che, anche se lenta, arriva inesorabile». (Gi.Cu.)
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