In carcere con Totò Libri e Pesce, i racconti del pentito: «Rispoli era un elemento di spicco della ‘ndrangheta a Legnano»
Le dichiarazioni di “Scarface” Cerbo ai pm della Dda di Milano. Dai racconti sull’Alta Sicurezza a Genova ai legami tra clan catanesi, camorra e ’ndrangheta lombarda

MILANO L’arrivo nel carcere di Genova, l’introduzione nella sezione “AS” (alta sicurezza) e l’incontro con alcuni elementi di spicco della criminalità organizzata, da cosa nostra alla ‘ndrangheta. C’è questo e molto altro nei racconti di William Alfonso Cerbo – 43 anni – appartenente secondo gli inquirenti al clan dei «carcagnusi» di Catania capeggiato da Santo Mazzei, poi avvicinatosi ai Senese (clan di camorra nella capitale) dopo la scomparsa del proprio riferimento catanese Gaetano Cantarella «Tanu U’ curtu» per lupara bianca il 3 febbraio 2020. Le dichiarazioni di “Scarface” sono state acquisite nel corso dell’ultima udienza del processo “Hydra”, l’inchiesta che mira a far luce sul «sistema mafioso lombardo», la presunta alleanza tra ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra.
In carcere tra i siciliani e i calabresi
Tra le centinaia di pagine di dichiarazioni rese ai pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, “Scarface” racconta: «Quando entri nella AS ci sono i siciliani, ci sono i calabresi, e subito mi viene all’incontro il gruppo dei siciliani, Samuele Rinzivillo della nota famiglia (…) e dopo che siamo entrati in confidenza mi sistemò, mi mise in cella con Pesce e Totò Libri». Pesce che il pentito identifica in «Antonino, il figlio di quello che è morto ora, ha un nome strano, Savino (…) e Samuele dice a questi “Mi raccomando è un amico mio”. E infatti sono stato sempre trattato, devo essere sincero, in maniera rispettosa». A proposito del carcere di Genova, il pentito ha spiegato: «Rinzivillo parlava per i siciliani, i calabresi parlano per i calabresi, i pugliesi… e via dicendo e quella era quindi l’unica cella che, secondo lui, era da gente diciamo in gergo “compatibile”, certo che non mi mettevano col drogato, mi hanno messo con Totò Libri e Nino Pesce…». A proposito di Pesce, il collaboratore davanti ai pm ha cercato di identificarlo meglio: «Il figlio di Savino. Suo padre è morto quest’estate, che poi lui è sceso per il funerale del padre e non è più salito perché gli hanno cambiato destinazione».

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Rispoli «era un elemento di spicco della ‘ndrangheta a Legnano»
Spazio poi alle domande su Vincenzo Rispoli, classe 1962 di Cirò Marina, tra gli indagati nell’inchiesta “Hydra”, accusato di essere in contatto proprio con la famiglia “Madonia-Rinzivillo” in quanto «capo del locale di Legnano-Lonate Pozzolo» e quindi «componente del sistema mafioso lombardo».
Tano Cantarella «era molto in contatto con Vincenzo Rispoli» ha raccontato ai pm “Scaface”, «ed era molto in contatto con un certo Vizzini che mi ricordo, ma stiamo parlando ricordi», e cita un altro episodio risalente al 2018. «Un giorno andarono a ballare tutti loro, compreso Cristian Marletta, e c’era anche mio figlio Cristian. Era piccolo. Quello che ha conosciuto. E hanno litigato. Questa discoteca era nelle zone del legnanese (…) e questa discoteca era sotto estorsione di amici di Tano, me lo raccontò personalmente Tano e faceva riferimento a Vizzini e Rispoli. È una discoteca famosissima…». E a proposito della figura di Vincenzo Rispoli, la pm Cerreti chiede al pentito se sapesse chi fosse con esattezza. «Ho dedotto, da come ne parlava Tano, che era un elemento di spicco della ‘ndrangheta a Legnano, a Busto, quelle zone lì…».
Rispoli, Rosi e i rapporti con Amico
Da Vincenzo Rispoli a Massimo Rosi, classe 1968 di Legano. Sul suo capo pesano le stesse accuse di Rispoli, confinando la sua ad una posizione di appartenente alla componente calabrese. Attraverso le dichiarazioni del collaboratore di giustizia i pm della Dda di Milano cercano di raccogliere ulteriori indizi sui due indagati nella maxi-inchiesta “Hydra”.
«Massimo Rosi l’ho conosciuto a Opera, quando mi sono consegnato dopo la Cassazione, quindi il 6 febbraio 2025», dice Cerbo, ammettendo di non averlo mai conosciuto prima, però «ad Opera mi ha accolto lui, essendo coimputato, quindi passeggiavo con lui, parlavo con lui, e mi raccontò un po’ tutta questa storia di Amico… mi raccontava tutte queste storie, che per questo Amico lui stava passando tutti questi guai, che lui non c’entrava niente. Sempre le solite cose (…) mi dice “ci siamo messi per la prima volta a lavorare” e ancora: “Io sono trafficante di droga, mi sono messo a lavorare, e per colpa di questo deficiente ho compromesso i miei affari”. Quindi stava trafficando in droga, e per colpa di cose che lui dice non c’entra niente in questa indagine, ha compromesso quello che invece lui c’entra che è la droga».
Rosi cugino di Rispoli
La pm Cerreti a questo proposito chiede al collaboratore cosa c’entrava Rosi con Amico. «Perché lui si è avvicinato ad Amico per lavorare, come una facciata pulita (…) dice: “c’erano andati di mezzo i miei affari”, come che lui ha contemporaneamente illecito e lecito, ci siamo? Il lecito è Amico, l’illecito è la droga. Per facciata lui la lavora da Amico, e dice: “Guarda, guarda, sono andato per lavorare per la prima volta in vita mia e invece sono stato coinvolto per procedimenti di mafia pesanti, coinvolgendo quello che invece stavo facendo sotto sotto”», ha spiegato il pentito alla pm durante la deposizione. A detta di “Scarface”, Rosi non si è mai presentato come un esponente del locale di ‘ndrangheta di Legnano, «mai, lui mi diceva che era il cugino di Vincenzo Rispoli» e mi raccontava che «Rispoli era imbestialito perché c’era in giro questa cosa che il collaboratore di giustizia Nicastro faceva il suo nome e questo, nelle carceri, per un elemento di spicco come Rispoli, è una vergogna». (g.curcio@corrierecal.it)
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