Petrolmafie, la fornitura di bitume alla Provincia di Vibo e i rapporti con D’Amico: le accuse in appello a Solano
La Procura chiede di rideterminare a 8 anni la pena per l’ex presidente. In primo grado era stata esclusa l’aggravante mafiosa e assolto dai reati di corruzione e turbativa d’asta

VIBO VALENTIA La Procura generale di Catanzaro ha invocato una condanna a 8 anni di carcere per Salvatore Solano, ex presidente della Provincia di Vibo e imputato nel processo Petrolmafie, giunto in appello dopo la sentenza di primo grado del dicembre 2023. L’ex sindaco di Stefanaconi, ente sciolto per infiltrazioni mafiose, è stato condannato a 1 anno con pena sospesa per corruzione elettorale insieme al cugino Giuseppe D’Amico, imprenditore ritenuto dagli inquirenti vicino alla ‘ndrangheta e per il quale è stata chiesta la conferma della condanna a 30 anni di carcere. Secondo l’accusa, D’Amico avrebbe «procacciato voti» per il cugino nella tornata elettorale in cui poi è stato eletto come presidente della Provincia.
La sentenza di primo grado
Per Solano era stata esclusa l’aggravante mafiosa, ma la Procura ne chiede nuovamente il riconoscimento, sostenendo che l’ex presidente fosse «consapevole» dei legami di Giuseppe D’Amico con la criminalità organizzata vibonese. L’accusa cita una conversazione tra i due imputati in cui si farebbe esplicito riferimento alla «vicinanza di D’Amico agli ambienti criminali della provincia di Vibo Valentia». Viene chiesto poi di ribaltare l’assoluzione riguardo l’accusa di corruzione e turbativa d’asta relativa ad un affidamento diretto della fornitura di bitume alla Provincia. I giudici di primo grado avevano escluso «qualsiasi forma di condizionamento dell’ente pubblico» nella scelta della società, aggiungendo che l’azione della pubblica amministrazione fosse stata «immune da condizionamenti esterni». Dunque, il rapporto tra Solano e D’Amico, secondo la sentenza di primo grado, non avrebbe influito sulla procedura, facendo venire meno l’ipotesi di «asservimento» da parte dell’amministrazione provinciale avanzata dall’accusa, assolvendo gli imputati dai reati di corruzione e turbativa d’asta.
Le contestazioni della Procura
Nel contestare la sentenza, la Procura ricostruisce il quadro probatorio fondato sui contatti tra Solano e D’Amico e su una visita che l’ex presidente della Provincia, insieme a due dipendenti provinciali, avrebbe effettuato alla ditta del cugino. L’accusa sottolinea come in quel frangente non esistesse ancora «alcuna procedura avviata dalla Provincia per una ricerca di mercato», determinando in partenza l’esclusione di «qualsiasi tipo di concorrenzialità da parte di aziende terze». In quell’occasione sarebbero state indicate alla ditta «le azioni da mettere in atto», agevolando d’Amico al fine di «insinuarsi nell’iter di approvvigionamento di bitume e giungere ad un affidamento diretto». Avrebbero anche suggerito gli importi in modo tale da «rendersi competitivo rispetto alle altre aziende abbassando il prezzo». L’obiettivo finale sarebbe stato quello di «mettere l’amministrazione provinciale nelle condizioni di rivolgersi a lui giustificando la scelta in base alla competitività economica».
Procedimento «pianificato e orientato»
Per la Procura «desta stupore» la decisione dei giudici di primo grado di escludere, sulla base di queste prove, un condizionamento del libero mercato e dell’operato dell’amministrazione provinciale. Durante il processo – sottolineano i pm – non è emerso che «la delegazione provinciale, nel corso della stessa giornata o nei giorni antecedenti e successivi, abbia effettuato visite ad altre aziende». Di conseguenza, per la Procura «è l’Amministrazione Provinciale al servizio dell’azienda di D’Amico e non viceversa». Anche dopo un test negativo riguardo la qualità del prodotto, la situazione non sarebbe cambiata tanto che «venivano messi in atto ulteriori forniture ed adottate ulteriori accorgimenti per far si che il D’amico potesse continuare a fornire bitume». Per l’accusa il procedimento è stato «letteralmente pianificato, orientato e realizzato» in favore delle pretese economiche di D’Amico e per «far figurare in ordine le carte a livello burocratico». Tuttavia, l’affidamento diretto alla ditta viene successivamente revocato con una determina, altro elemento che ha portato i giudici di primo grado a decidere per l’assoluzione. Una conclusione non condivisa dalla Procura che considera «già consumato» il reato al momento della revoca dell’affidamento. Su queste basi ha chiesto la rideterminazione della pena nei confronti di Solano a 8 anni di carcere. (ma.ru.)
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