Tornare per restare, la nuova vita di Bina Palopoli a Longobucco. «Dopo venti anni in giro per il mondo, riempio le strade di nuovi ricordi»
«Ho vissuto all’estero, non è stata una fuga, ma una scelta». Il futuro è in Calabria, ma serve «snellire la burocrazia e offrire servizi»

LONGOBUCCO I giovani in Calabria sono stretti tra il desiderio di restare e l’esigenza di partire. L’antropologo Vito Teti è un fervido sostenitore della restanza, ma per alcuni andare via non è una scelta. Negli ultimi anni, qualcosa sembra essere cambiato. C’è chi torna per restare, come Bina Palopoli. Dopo una vita spesa in giro per il mondo, ha scelto di fare ritorno nella “sua” Longobucco, nel cuore della Sila Greca. Longobucco è uno dei pochi borghi calabresi nei quali ancora oggi prosegue la lavorazione dei tessuti impiegando gli antichi telai a mano adoperati anche per la produzione di finissimi copriletti e arazzi.
Venti anni trascorsi lontani dalla Calabria. Cosa ti ha spinta a partire?
«Ho lasciato la Calabria nel 2000, quando ho scelto Perugia e una laurea quinquennale in Comunicazione d’Impresa. Longobucco mi stava stretta, le montagne mi soffocavano. Alla prima opportunità ho lasciato anche Perugia per l’Erasmus a Pamplona, dopo una prima esperienza a Malta, l’anno prima, frutto di una borsa di studio per migliorare l’inglese. Dal 2004 al 2024, ho vissuto all’estero e non è stato un ripiego e neppure una fuga. E’ stata una scelta, un desiderio di voler migliorare, di imparare le lingue, di conoscere usi e costumi diversi. Gli anni post universitari sono stati un susseguirsi di opportunità lavorative ed esplorazioni personali che dalla Spagna mi hanno portato a Parigi, Londra, Singapore e di ritorno a Londra. Ho lavorato per le maggiori aziende di travel technology – Expedia, Skyscanner, Klook. Venti anni in cui sicuramente la Calabria, famiglia ed amici mi sono mancati, (la cucina di mia madre, le passeggiate con mio padre, il Campanaro, il profumo della neve) ma non così tanto da rendermi nostalgica. Sono stata felice in ogni posto in cui ho vissuto».



In che modo vivere all’estero ha cambiato – se lo ha fatto – la tua identità calabrese? L’ha rafforzata o messa in discussione?
«La mia calabresità è forte. Sono tenace, legata alle tradizioni e alla mia cultura che ho portato in giro per il mondo. In ogni luogo ho tentato di riportare il senso autentico delle nostre comunità. Ho radici profonde che ad un certo punto si sono risvegliate, da un torpore lungo due decenni, e mi hanno riportata a casa».
Quando hai capito di dover tornare?
«E’ successo durante un anno sabbatico, nel 2015, quando ho viaggiato con il mio compagno in 12 paesi del Sud est asiatico. Eravamo su una spiaggia del Sud del Myanmar. Era febbraio, piena estate, luogo di incredibile bellezza. Mi sono resa conto che Longobucco non era poi cosi remota e irraggiungibile e che persone come me, avrebbero apprezzato sia il viaggio che la destinazione. Mi sono accorta di tutto questo in un posto lontano dalla civiltà, a due giorni di viaggio da un città di medie dimensioni. E così, insieme al mio compagno sudafricano, abbiamo acquistato la casa del mio trisnonno, l’abbiamo ristrutturata a distanza, nel bel mezzo del Covid, e abbiamo iniziato a frequentarla sempre più spesso. Quando è nato il nostro secondo figlio, nel 2023, abbiamo deciso che ci saremo trasferiti in Calabria.
Il ritorno non è stato facile. Non permettono che sia facile. La burocrazia è assurda, di colpo ti ritrovi a fare i conti con Spid, Pec e termini incomprensibili, ma soprattutto con la mancanza di servizi.
Tornare è affascinante, ma ti ritrovi a fare i conti con tanti ostacoli da superare. Nel nostro caso, ad esempio, la mancanza di asilo nido per il bimbo, un ospedale facilmente raggiungibile per le emergenze, e una stazione di rifornimento».


Com’è cambiata Longobucco?
«Longobucco è cambiata, la diminuzione degli abitanti è proporzionale alla crescita del disincanto. Vivo con frustrazione l’immagine di una piazza piena di auto parcheggiate. Ma non vedo solo case chiuse e non curanza, scorgo opportunità. Alle strade deserte reagisco riempiendole di nuovi ricordi, con i miei bambini che corrono, i progetti futuri, gli amici che vengono a trovarci».
Quali sono i progetti legati al tuo ritorno?
«Qualche anno fa, prima di tornare, ho fondato Rarike Experience APS. Con l’associazione abbiamo realizzato installazioni all’uncinetto, decorando i vicoli nel corso delle diverse stagioni. Con il Festival d’Autunno abbiamo riempito la piazza fuori stagione, con il Festival delle Radici abbiamo previsto laboratori di artigianato in chiave esperienziale. Oltre a Rarike, ho intrapreso due nuovi progetti: “Benessere nel Borgo”, attraverso il quale portiamo yoga, meditazione e sound healing nella nostra comunità, spesso gratuitamente e in location all’aperto. E poi “Ntrizzi“, laboratorio e spazio creativo che presto ospiterà un B&B e uno spazio per il benessere di corpo e mente. Quest’ultimo è un progetto condiviso insieme a sette amiche provenienti da altri paesi, conosciute durante gli anni vissuti all’estero, e che hanno acquistato insieme a me una casa a Longobucco».
Ti sei mai pentita della scelta?
«Siamo qui e godiamo ogni giorno della quiete della montagna, il camino è acceso mentre pensiamo a nuovi progetti. Il ritorno è possibile, ma non sono necessari solo i denari. Il turismo, ad esempio, è una delle leve utili a combattere lo spopolamento, soprattutto nelle zone interne. Ma per sostenere un cambio di rotta occorrono investimenti in infrastrutture, sostegno all’autoimprenditorialità e – permettermi di ripeterlo ancora una volta – i servizi». (f.benincasa@corrierecal.it)
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