La Calabria dell’olio tra potenzialità e ritardi – VIDEO
Taccone: «Senza meccanizzazione e senza tutela dei territori difficili, rischiamo di perdere un patrimonio storico e produttivo straordinario»

LAMEZIA TERME «C’è bisogno di una cultura della oleificazione, che inizia ad esserci, ma i passi da fare sono ancora tanti». L’immagine su cui puntare è sicuramente quello di un olio extravergine di alta qualità. A fornire un’analisi delle complessità che investono la produzione e la distribuzione in e dalla Calabria è l’imprenditore Pierluigi Taccone, presidente del Coppi, Consorzio del pompelmo italiano, dell’organizzazione produttori ortofrutticoli ed agrumari, e presidente del Consorzio Olio DOP Lamezia, protagonista della nuova puntata del format “Dove cresce la Calabria” in onda su L’altro Corriere Tv, condotto da Saveria Sesto.

Al centro della puntata, il pianeta olio in una annata importante dal punto di vista di carica produttiva, 2025-2026, da cui si aspettano grandi risultati con la produzione di un olio di ottima qualità. «La Calabria – spiega Taccone – ha un’agricoltura straordinaria dal punto di vista paesaggistico, ma non altrettanto da quello della produttività. Il motivo è essenzialmente quello di essere una olivicoltura di secoli fa, destinata non alla produzione di olio extravergine, ma alla produzione di olio lampante. Tempo addietro, quest’olio aveva un ottimo mercato e quindi si è continuato a insistere sulla volumetria di queste piante, sempre più grandi, per produrre un olio che veniva pagato profumatamente. Oggi le cose sono cambiate, e ci troviamo una vecchia olivicoltura che, pur con varietà differenti, parte da questo assunto: l’essere piante destinate alla produzione di olio lampante».
Eppure, il settore è riuscito a reinventarsi. «Va dato atto al mondo dell’olivicoltura calabrese di essersi inventato una produzione di extravergine che oggi assume un aspetto molto importante. Tant’è vero che abbiamo queste tre Dop della provincia di Catanzaro, di Crotone e di Cosenza. La più nota è la Carolea, che è riuscita a fare anche un’unica bottiglia con un gruppo di aziende consorziate, adottando un’unica etichetta per avere una maggiore valenza sul mercato».

I numeri
Sui numeri dell’olivicoltura calabrese, Taccone ha spiegato: «Parliamo di 160-170 mila ettari di oliveto, il 34-35% dell’intera superficie agricola. Le rese per ettaro sono abbastanza modeste. Si cerca di supplire con la qualità e la produzione di oli di buon livello, ma comunque restano sempre delle produzioni in termini di quantità e di denaro per ettaro abbastanza modeste rispetto soprattutto ad altre colture».
L’economia generata però è significativa: «Abbiamo questa realtà e dobbiamo giocarci con questa realtà. Oggi c’è questo piano Piano olivicolo molto interessante presentato e varato dall’assessore Gallo, dovremmo utilizzarlo per meccanizzare il più possibile questa vecchia olivicoltura. Ci sono problematiche che sono legate al fatto che una buona parte di questa olivicoltura giace in terreni difficili».
Di questi 160 mila ettari, si distribuiscono tra pianura, collina e montagna e muovono un’intera economia, con 700 frantoi attivi. «La produzione – afferma Taccone – quest’anno si può attestare sui 300-350 mila quintali, un dato quantitativo elevato. Ma se lo valutiamo in termini di quantità per ettaro, siamo sui 3-3,5 quintali di olio per ettaro. Le aziende di pianura, dove la meccanizzazione è già partita, producono molto di più. Dobbiamo fare in modo che questa meccanizzazione diventi la più ampia possibile».
Le varietà
La Calabria vanta un’ampia varietà con circa 34 cultivar, come la Carolea, la Dolce di Rossano, l’Ottobratica, la Sinopolese, la Tonda di Strongoli, più altre cultivar minori. «Se riuscissimo a valorizzare il patrimonio genetico che ci appartiene – e che non appartiene probabilmente a nessun’altra regione italiana – avremmo uno strumento in più per valorizzare il nostro olio».
«Se volessimo fare una disamina obiettiva dal punto di vista strettamente produttivo e non ambientale, – aggiunge Taccone – la sola varietà che è veramente in grado di soddisfare economicamente l’olivicoltura è la Carolea. È straordinaria: estremamente produttiva in termini di quantità e di resa percentuale di olio, è facile da gestire, perché è meccanizzabile per la raccolta. Inoltre, ha una destinazione che potrebbe essere anche quella da tavola».
«L’unico limite della Carolea è che non si può trasferire se non in piccolissime zone della Calabria. È tipica della Calabria centrale, della zona di Lamezia fino a Catanzaro, ma nel Sud della Calabria (Reggio Calabria) o a Cosenza vive meno bene o non riesce ad adattarsi».
Il DOP Lamezia ha scelto la Carolea, «si sono inventati questa etichetta suggestiva, quasi a significare che questa varietà, che nessuno conosceva, viene svelata con un’apertura di cortina che rivela la “Dea Carolea”. È stata molto apprezzata in Italia e fuori dall’Italia. In termini quantitativi, siamo appena agli inizi con questa etichetta, ma abbiamo delle potenzialità molto più ampie».


Sul rinnovo varietale, Taccone ha spiegato: «Mi permetto di avere dei dubbi, perché in realtà varietà italiane che oggi possono essere consigliate per ottenere questi nuovi impianti sono tutte da sperimentare. Direi di andare piano e di verificare prima di intervenire in maniera consistente. I danni, purtroppo, in agricoltura non si valutano immediatamente, ma dopo 3-4-5 anni, quando è troppo tardi».
Il Piano olivicolo
Dopo anni di attesa oggi c’è un Piano Olivicolo che consentirà quantomeno di trasformare 11mila ettari in Calabria con investimenti per aumentare la competitività. «L’obiettivo è quello di meccanizzare l’agricoltura in senso di riduzione dei costi. Abbiamo i problemi della manodopera, e comunque, anche se si trovasse, non sarebbe più possibile la competizione con altri oli, dove questi oneri sono inferiori. Si deve necessariamente rendere pienamente meccanizzabile l’olivicoltura calabrese», afferma Taccone. «Ci dà la possibilità di acquistare macchine per la raccolta, di rinnovare le sezioni di impianti di trasformazione, di migliorare le caratteristiche delle piante attraverso la potatura e, ove si arrivasse all’emanazione della nuova legge sull’espianto, di trasformare radicalmente i vecchi impianti, casomai con varietà che abbiano dimensioni più contenute e che siano totalmente meccanizzabili».
L’approccio con i mercati, azioni per valorizzazione e promozione
Focus poi sull’approccio con i mercati e sulle azioni che possono facilitare la concentrazione dell’offerta. «Le aziende dovrebbero quantomeno essere consorziate e incominciare ad avere rapporti diretti con le grosse società di imbottigliamento nazionali, che sono disponibili a pagare qualcosa di più rispetto ai valori tradizionali. Ma c’è anche la valorizzazione di piccole iniziative che riescono a immettersi sul mercato guadagnando tutto quel valore aggiunto», ha spiegato Taccone.
Sulle azioni in questione, Taccone ha spiegato: «Tante azioni si stanno presentando, come quelle delle Camere di Commercio. La Camera di Commercio sta facendo un’iniziativa molto interessante: a parte la Borsa dell’Olio. Trovo che sia una manovra molto importante per dare al produttore, che non ha contezza dei prezzi veri, un punto di riferimento stabile attraverso una valorizzazione settimanale degli oli. Il mio invito è: prima di vendere, controllate quello che succede alla Camera di Commercio, che ha istituito questa Borsa dell’Olio. Non si deve abboccare a qualsiasi offerta fatta da gente che tutto sommato è ai margini della vendita diretta. Un’altra iniziativa è quella di promuovere presso i vari ristoranti calabresi l’obbligo di mettere sulle tavole oli di origine calabrese».

Minacce esterne e problemi ambientali
«Per quanto riguarda le fitopatie, la soluzione è una diversificazione agronomica a livello regionale per eliminare le grosse fitopatie che, in presenza di monocolture, si specializzano. Sulla Xylella, non possiamo che aspettare che la ricerca scientifica faccia passi avanti. Ci sono delle varietà tolleranti, come il Leccino, ma ancora purtroppo la ricerca non ha dato risposte».
C’è poi un problema irrisolto legato al paesaggio. Molti oliveti giacciono in terreni difficili, una situazione che colpisce ad esempio la Piana di Gioia Tauro, un patrimonio inestimabile. «La Piana di Gioia Tauro presenta delle strutture straordinarie, uniche al mondo. Chiunque venga da fuori resta meravigliato, ma per quanto siano belle, altrettanto sono negative da un punto di vista economico. Non può l’agricoltore a sue spese continuare a gestire questi impianti senza che la collettività non intervenga in suo favore, perché prima o dopo abbandonerà. Non possiamo pretendere che l’agricoltura provveda. Ci sono delle problematiche legate al fatto che una buona parte di questa olivicoltura giace in terreni difficili, dove la dimensione delle piante e la pendenza del terreno non permettono una meccanizzazione. Lì bisognerebbe ragionarci su perché non basta probabilmente il Piano Olivo per dare la possibilità di sopravvivere. Bisogna trovare altri sistemi con il Ministero dell’Ambiente, per dare un beneficio a questi vecchi oliveti che altrimenti rischiano l’abbandono».
Il ruolo del Coppi
E infine, Taccone, sul ruolo del Coppi ha spiegato: «Rappresenta un punto di riferimento nell’area lametina per quanto riguarda gli agrumi. Si è consorziata e si è interfacciata direttamente con la grande distribuzione, un lavoro iniziato da decenni. Abbiamo una filiera corta che permette al produttore di arrivare direttamente ai mercati del Centro e Nord Italia, guadagnando quel valore aggiunto che altrimenti sarebbe andato ai mediatori locali. La nostra mission è la qualità certificata e costante: è questo il futuro della nostra agricoltura». (redazione@corrierecal.it)
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