Il disco graffiato del Catanzaro, la scalata silenziosa del Cosenza. Crotone, il pendolo delle illusioni
Le Aquile continuano a mostrare limiti in difesa, urge cambiare. La forza mentale dei Lupi, più forti delle difficoltà. Le crepe emotive dei pitagorici sono una costante

Sorride ancora una volta soltanto il Cosenza delle tre calabresi di serie B e C. La vittoria dei Lupi sulla corazzata Benevento è una conferma della loro forza tecnica e mentale. Il pareggio beffa del Catanzaro contro il Pescara fa riemergere malumori e lacune preoccupanti. Ma sta peggio il Crotone, battuto dall’Audace Cerignola.
Il disco graffiato del Catanzaro
Dopo Empoli e pausa Nazionali, serviva una vittoria per ricucire l’anima. È arrivato invece un 3-3 che racconta molto, troppo, della fase che sta attraversando il Catanzaro di mister Aquilani: brillante quando attacca, smarrito quando deve difendere anche l’ovvio. Il Pescara, in crisi di suo, ha ringraziato. L’allenatore romano lo ha detto senza giri di parole: buona gara, pessima difesa. Il problema è che questa diagnosi comincia a suonare come un disco graffiato. La squadra prende tre gol banali (l’ultimo un manifesto di ingenuità). La fragilità nasce dove un tempo c’era ordine: la mediana. Si gioca senza filtro, senza un play che costruisca e soprattutto protegga (lo scarso impiego di Petriccione comincia a diventare un problema serio). Insistere su Pontisso in regia mostra crepe sempre più evidenti. E mentre Liberali si consuma in panchina, arriva Buso – finalmente – e alla prima vera occasione piazza un gol che urla qualità. Il punto è che, al di là di qualche limite strutturale che si fa strada sempre di più, gli equilibri del Catanzaro sembrano appesi a scelte troppo rigide o obbligate: Petriccione limitato dalla pubalgia, Buso e Liberali quasi decorativi finché non diventano indispensabili. E allora il dubbio è semplice: per provare a svoltare l’annata, non è il momento di aumentare il minutaggio di chi finora ha giocato meno?
Crema: il colpo di tacco di Brighenti (unico difensore di giornata positivo), Pittarello ritrovato dopo prestazioni sottotono e critiche giuste, e un Buso che entra, spacca e segna un gol fantastico come se fosse la cosa più naturale del mondo. Se, soprattutto quest’ultimo, avesse più spazio e fiducia, forse il Catanzaro lì davanti potrebbe essere ancora più incisivo.
Amarezza: la difesa. Ancora indietro, ancora friabile, ancora decisiva in negativo. Gennaio non può essere un appuntamento rimandabile: servono rinforzi, e servono presto.
La scalata silenziosa del Cosenza
C’è un dettaglio che sfugge ai più quando si analizza la sorprendente scalata del Cosenza di Antonio Buscè verso i piani alti della classifica: non è solo questione di tecnica, né di schemi, né – come piace raccontare ai romantici del pallone – di quel “vento buono” che talvolta spinge le squadre oltre i propri limiti. No, qui c’è dell’altro. Qui c’è una forza mentale che, paradossalmente, sembra la vera differenza con le superpotenze del girone C, quelle costruite la scorsa estate per vincere mentre in città si facevano i conti con gli strascichi di una retrocessione mai digerita e una società sempre pronta a mostrarsi indifferente di fronte alla passione della propria gente. Perché questa stagione, si sa, è nata più storta che mai: ferite aperte, contestazioni roventi, un organico rimasto lì per caso e non pensato per il ritorno-lampo in B. Eppure, dentro quel quadro sgualcito, Buscè ha trovato spazio per far crescere una squadra vera, un gruppo unito. Una squadra che non si piange addosso, che regge l’urto delle difficoltà, che trasforma il rumore del malcontento verso il club nel silenzio operoso del lavoro quotidiano. La vittoria sulla corazzata Benevento (squadra che può permettersi il lusso di tener fuori gente dal pedigree pesante come Tumminello) è la testimonianza più limpida della tempra di questo gruppo. Sotto di un gol, in uno stadio deserto, i rossoblù hanno ribaltato il risultato con la naturalezza di chi ha un’identità. E lo hanno fatto davanti a 250 tifosi avversari. Una cartolina amara, certo, ma che rende ancora più nitido il valore della risposta. Questa squadra ha qualcosa che non si allena: il carattere. Lo si vede nella fame di Kouan, nell’incisività di Garritano (cosentino e mai così decisivo a casa sua) e soprattutto nella calma del suo allenatore. Buscè non alza troppo la voce: applica un’umile «arte dell’arrangiarsi» che sa di provincia orgogliosa. E forse proprio da lì nasce tutta questa inattesa solidità e il -2 dalla vetta.
Crema: la chiamata del dg Gualtieri ai tifosi – prevedibilmente – è caduta nel vuoto. Ma i ragazzi di Buscè hanno trasformato quel silenzio in un alleato imperturbabile. Bravi tutti: Kouan che vede la porta quasi come un attaccante, Garritano che segna e corre come chi vuole rimettere in ordine i fili della propria storia, e un allenatore che di settimana in settimana scolpisce un’identità nonostante gli strumenti non siano esattamente da bottega d’alta gioielleria ai livelli della concorrenza.
Amarezza: l’infortunio di Ferrara, sommato a quello di Cimino e alle condizioni precarie di Dametto, ha costretto Buscè all’ennesimo numero di equilibrismo, con l’offensivo Cannavò arruolato in difesa. Così il Cosenza ha superato l’ennesimo esame, ma la domanda rimane sospesa come un pallone che non vuole scendere: quanti punti in più avrebbe oggi questa squadra se fosse stata costruita con ambizione e criterio sin dall’inizio?
Crotone, il pendolo delle illusioni
Ci sono partite che raccontano più del risultato. E poi c’è Cerignola-Crotone, che racconta (con brutale nitidezza) dove finiscono le parole e dove iniziano i limiti. Emilio Longo aveva evocato la metafora dell’antibiotico: la vittoria col Sorrento come cura temporanea, non abbastanza per debellare una crisi che non voleva più chiamare “crisi”. Serviva continuità, serviva fame, serviva sostanza. A giudicare da ciò che il Crotone ha lasciato sul prato del Monterisi, nessuno dei tre ingredienti è arrivato a destinazione. Il primo tempo, paradossalmente, ha ingannato tutti. Squadra ordinata, campo controllato con buona personalità, qualche occasione ben costruita, persino l’impressione di un Crotone capace di galleggiare nella partita senza soffocare alle prime folate avversarie. Poi, come da copione di questa stagione schizofrenica, la corrente è cambiata. L’occasione sciupata da Murano è stata il segnale premonitore: non fai gol quando puoi, lo subisci quando meno te lo aspetti. E infatti il Cerignola ha sfruttato ogni crepa emotiva dei rossoblù. Longo nel post-partita ha provato a mettere ordine: buon avvio, partita in mano fino al vantaggio pugliese, poi blackout totale. Tradotto: la squadra non reagisce, non ribalta, non morde. «Manca la capacità di risalire dal colpo preso», ha sintetizzato. E la frase, più di ogni analisi tattica, fotografa perfettamente la fragilità di questo Crotone: alla prima raffica, trema. Alla seconda, crolla. Eppure il paradosso resta sempre lo stesso: i rossoblù non giocano male. Giocano leggeri. Una leggerezza che in serie C non è virtù, ma condanna.
Crema: il Crotone, paradossalmente, contro il Cerignola ha mostrato un primo tempo pulito, ordinato, persino autoritario a tratti. La gara sembrava nelle sue corde: ritmo giusto, linee compatte, fiducia ritrovata. C’era campo per prendersi la partita e indirizzarla. Ma lucidità e concretezza sono rimaste a casa.
Amarezza: quattro sconfitte nelle ultime sei parlano chiaro: non è una parentesi, è un trend. Il Crotone non solo si è sfilato dalla corsa ai primi posti: ha smarrito quelle certezze che credeva di aver recuperato. La squadra regge finché il vento è favorevole, ma quando cambia direzione non ha più bussola. Senza reazione, senza denti e senza cattiveria, nessuna cura sembra funzionare. Altro che antibiotico: qui serve una terapia d’urto. E in fretta. (f.v.)
Foto Us Catanzaro, Cosenza calcio, Fc Crotone e Audace Cerignola
Il Corriere della Calabria è anche su Whatsapp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato