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“Pandoro gate”, chiesti un anno e 8 mesi per Chiara Ferragni

L’influencer: «Ho agito in buona fede»

Pubblicato il: 25/11/2025 – 22:50
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“Pandoro gate”, chiesti un anno e 8 mesi per Chiara Ferragni

MILANO Condannare Chiara Ferragni a 1 anno e 8 mesi per la truffa del “Pandoro gate”. È la richiesta della Procura di Milano nel processo a carico dell’imprenditrice-influencer, imputata per la presunta pubblicità ingannevole sulla beneficenza nel caso del “’Pandoro Pink Christmas” di Balocco del Natale 2022 e delle Uova di Pasqua ’21-’22 di Dolci Preziosi e griffate “Ferragni” per sostenere l’associazione “Bambini delle Fate”. Il procuratore aggiunto di Milano, Eugenio Fusco, e il sostituto Cristian Barilli che hanno coordinato le indagini del Nucleo Pef della guardia di finanza, hanno chiesto la stessa condanna per Fabio Damato, ex manager delle società titolari dell’immagine di Ferragni e all’epoca braccio destro della 38enne, e un anno per l’amministratore delegato e presidente di Cerealitalia-ID, Francesco Cannillo. Ferragni ha preso la parola in aula: «Abbiamo sempre fatto tutto in buona fede, nessuno di noi ci ha lucrato», ha detto rivolgendosi al presidente della terza penale, Ilio Mannucci Pacini. Ha ripercorso quella fase della sua vita parlando di un momento di grande successo personale, citando il ruolo da co-conduttrice al Festival di Sanremo ed elencando i casi di “impegno” per il sociale che l’hanno vista partecipare in prima persona: dalle campagne contro la violenza sulle donne alla raccolta fondi lanciata nel marzo 2020 assieme all’ex marito, Fedez, per sostenere l’ospedale San Raffaele e che ha raccolto oltre 4,5 milioni di euro per la creazione di nuovi posti letti all’interno del reparto di terapia intensiva da destinare all’emergenza Covid in piena pandemia e lockdown. Uscendo dall’aula si è detta “fiduciosa». «Non posso dire altro», ha commentato alla selva di telecamere. «Verrà fuori la sua innocenza», ha aggiunto l’avvocato Marcello Bana che la assiste con il collega Giuseppe Iannaccone. Di diverso avviso la pubblica accusa che ha chiesto al Tribunale di non concedere nemmeno le attenuanti generiche. Durante la requisitoria a porte chiuse nel processo con rito abbreviato, a Ferragni e Damato è stato contestato di aver ingannato 30 milioni di follower che si fidavano della loro beniamina sui social e di non aver utilizzato nemmeno l’atteggiamento “più prudente” usato invece dai partner commerciali, Balocco e Dolci Preziosi. Ad esempio di fronte alle richieste, giunte via mail o social, da parte di vari acquirenti dei 362.577 pandori ceduti alla grande distribuzione per il Natale 2022 e venduti al pubblico al prezzo di 9,37 euro a confezione invece che i 3,68 euro del prodotto standard, di sapere esattamente quale “quota” del prezzo di vendita fosse destinato alla filantropia per sostenere l’acquisto di un nuovo macchinario ed esplorare cure terapeutiche nei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing per l’Ospedale Regina Margherita di Torino. Quesiti a cui i due marchi si sarebbero sottratti o tenuti sul vago nelle risposte. Dalla documentazione agli atti risulterebbe invece alla Procura che fossero proprio le società di Ferragni – TBS Crew e Fenice srl – ad avere l’ultima parola e a suggerire di rispondere agli utenti facendo riferimento a imprecisati “progetti” di beneficenza in corso. Il tutto nonostante Balocco avesse già effettuato una donazione da 50mila euro nel maggio 2022, 7 mesi prima della campagna di vendita, e che non vi fosse alcuna “correlazione” tra i volumi d’acquisto e la beneficenza. Per i pm così da Ferragni è stato realizzato un “ingiusto profitto” per un milione e 75mila euro, a cui aggiungere un altro milione di euro per gli accordi con Crealitalia-ID. La truffa di cui si sarebbe macchiata l’influencer è stata paragonata a una manipolazione del mercato in cui “l’inganno”, prodotto sulla rete, si sposta poi sui bancali della grande distribuzione organizzata vendendo al pubblico dei beni dopo averlo convinto o avergli fatto credere con post e stories di Instagram che l’attività benefica sia collegata al numero di acquisti. Al contrario di quanto prevedevano i contratti. Per gli inquirenti sarebbero proprio questi due luoghi – il web, dove Ferragni godeva di credibilità indiscussa, e le grandi catene di supermercati a cui le persone si rivolgono quotidianamente per fare la spesa riponendo a loro volta fiducia – ad aver generato l’aggravante di «aver profittato di circostanze di luogo e persona tali da ostacolare la privata difesa» dei consumatori. Un’aggravante contestata in quella che già la Procura generale della Cassazione, decidendo sulla competenza territoriale dei magistrati di Milano a indagare, aveva definito come «truffa contrattuale dal carattere diffuso». Nel caso in cui invece il Tribunale non dovesse riconoscere la sussistenza delle minorata difesa – circostanza particolarmente severa che la legge punisce con pene fino a 6 anni nei processi con riti ordinari, più elevate di altre aggravanti (inclusa quella di truffa ai danni dello Stato,) – Ferragni andrebbe prosciolta dal reato di truffa semplice per difetto di querela. Le denunce infatti sono state tutte rimesse dopo i risarcimenti versati negli scorsi mesi alle associazioni Adicu, Codacons e a una signora di 76 anni che aveva acquistato diversi pandori per beneficenza e aveva chiesto di entrare nel processo per poi ritirarsi dopo un risarcimento extragiudiziale. Martedì nel frattempo è stata accolta la costituzione di parte civile della Casa del Consumatore che entro la prossima udienza del 19 dicembre comunicherà alle parti le proprie richieste con l’avvocato Aniello Chianese. Quel giorno prendereranno parola per la prima volta anche le difese di Ferragni e co-imputati. (LaPresse, Francesco Floris)

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