«Il teatro si evolve, ma resta un miracolo», dialogo con Max Mazzotta
L’evoluzione del Drama Fest tra prime «imperfette», metafore da decifrare e un pubblico da emozionare

COSENZA Fabio Secchi Frau lo definisce un «irruente attore teatrale», Max Mazzotta attore e regista cosentino sorride e risponde: «Un bambino quando nasce è irruento, piange ed è un po’ irrequieto, quindi forse si, mi sento vicino a questa definizione». Mazzotta ci apre le porte del Piccolo Teatro Unical, che tra qualche giorno (dal 2 al 4 dicembre) ospiterà – sotto la sua direzione artistica – il DramaFest che unisce il mondo del teatro e l’Università della Calabria.


Sul palco, da regista e da attore, racconti più mondi utilizzando linguaggi diversi
«Il teatro è un contenitore dove confluiscono varie arti. Negli anni ’90 pensavamo al futuro e ipotizzavamo la comparsa sul palco degli ologrammi. Sono passati più di trent’anni, gli ologrammi non ci sono, noi siamo ancora qui: il teatro non muore e non morirà. Ci sono delle regole che non possono cambiare. Anche se si pensa all’intelligenza artificiale. Da una parte mi spaventa, ma dall’altra penso che come tutto anche gli attori, il cinema e il teatro sono soggetti ad una naturale evoluzione. L’equilibrio è fondamentale per utilizzare e governare i nuovi mezzi tecnologici».
“Teatro è guardare vedendo”, l’obiettivo è lasciare qualcosa al pubblico. E’ difficile riuscirci?
«Non temo la presenza di un pubblico superficiale. La funzione primaria del teatro è donare un’emozione, ma anche lasciare qualche interrogativo o il “compito” di approfondire e rintracciare – anche in un momento successivo – il senso dello spettacolo. Quando si entra in scena, si entra in contatto con il pubblico e in quel momento accade un miracolo. Il teatro utilizza una metafora, la metafora è uno sforzo di coscienza necessario a comprendere un significato nascosto. E’ difficile da spiegare, ma chi va a teatro vive un momento di fusione e si lega indissolubilmente a ciò che accade sul palcoscenico. Il pubblico osserva, è li insieme a noi, senza non siamo niente».


I ragazzi che si avvicinano al teatro danno una bella iniezione di energia? Lavorare insieme a loro è uno stimolo per continuare ad immaginare nuovi spettacoli?
«Qualche giovane impara da noi, ma anche noi da loro. Sono arrivato all’Unical più di 25 anni fa per lavorare con i ragazzi e questa magia non si è mai interrotta. Nei giorni scorsi abbiamo avviato un laboratorio nuovo su Shakespeare, ci sono ragazzi piccoli che non hanno mai fatto teatro. Mi chiedo sempre se sono in grado di rivolgermi a loro nella maniera corretta. La vita è fatta anche di dubbi».
Tutto, dunque, è in continua evoluzione. E il Drama Fest?
«Si, certo. L’idea che muove il Drama Fest, da quando è nato ad oggi, è la bellezza. L’emozione della “prima”, perché tutto ciò che si accadrà quel giorno non ritorna. Le “prime” sono sempre un po’ disastrose. Dopo il debutto arriva la seconda giornata e ti interroghi sulla giornata precedente prima di arrivare all’atto conclusivo, quello che determina il presente ma anche il futuro. Il Drama Fest si lega evidentemente all’Unical, ci sono i professori e ci sono gli studenti. Molti non si sentono o non sono vicini al teatro, ma comunque sono curiosi e nei tre giorni tutti hanno la possibilità di confrontarsi con i critici, di studiare i grandi drammaturghi».
Quanto è complesso legare i grandi classici ad un mondo che corre troppo veloce?
«Il copione teatrale e la drammaturgia hanno un codice simile a quello della musica. Ci sono i grandi classici che possono essere reinterpretati. Eduardo De Filippo è morto, ma abbiamo i suoi copioni, i suoi testi pieni di messaggi che dobbiamo interpretare sul palco. Gli attori moderni sono diversi da chi saliva sul palco tanti anni fa, anche il linguaggio utilizzato nei classici veniva riportato in scena in maniera del tutto diversa. Pensa ai tempi. Oggi fai fatica a pensare ad uno spettacolo di quattro ore, rischi di perdere l’attenzione perché viviamo ritmi completamenti diversi. La pubblicità dura un minuto, un video sui social anche meno. Devi necessariamente leggere uno scritto e utilizzare un linguaggio scenico moderno».
Siamo alla fine (Max Mazzotta sorride). L’ultima domanda è in realtà una curiosità. Difficile immaginarti lontano dal cinema e dal teatro, ma se avessi potuto fare altro?
«L’astronauta come tutti e il cantante rock. Sono sempre stato appassionato di musica, non mi abbandonerà mai. Ritorniamo alla definizione iniziale: irruente. Il cantante rock ha davvero la possibilità di sfogarsi sul palco». (f.benincasa@corrierecal.it)
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