Droni, sim e telefoni fantasma: la rete di comunicazione della ‘ndrangheta dentro il carcere
L’ultima operazione con 31 indagati rilancia l’allarme dei dispositivi in mano ai detenuti. In tre anni sequestrati quasi 5 mila cellulari

«I mafiosi comandando con i cellulari dalle carceri». L’allarme era stato lanciato mesi fa da Nicola Gratteri: la criminalità organizzata riesce a sfruttare le fragilità del sistema carcerario per continuare a gestire gli affari illeciti anche da dietro le sbarre. Non solo per impartire ordini, ma anche per intervenire e sedare problemi sorti all’interno del clan, “faide” per cui è richiesta inevitabilmente la figura storica, il capobastone capace di mettere tutti d’accordo. Droni, microcellulari, sistemi di comunicazione e strumenti innovativi per superare le mura, comunicare con chi è rimasto fuori e, al tempo stesso, eludere i controlli degli agenti penitenziari. Ma non sempre funziona, come dimostra l’ultima maxioperazione denominata “Smartphone” condotta dal Centro Operativo della Direzione Distrettuale Antimafia e dall’Antiterrorismo di Genova che ha portato a 31 indagati e perquisizioni in tutta Italia.
Le ‘ndrine nel mirino dell’inchiesta
Dalle indagini è emerso un sistema di comunicazione, con oltre 150 telefonini monitorati e 115 schede sim, che consentiva ai detenuti di ‘ndrangheta di portare le “ambasciate” all’esterno e coordinare le attività illecite delle cosche. Nel mirino degli inquirenti sono finite storiche ‘ndrine calabresi, come i Molè di Gioia Tauro, i Grande Aracri di Cutro, i Morabito di Africo e i Gallico Frisina di Palmi. I detenuti sarebbero riusciti a dotarsi di cellulari e sim introdotti tramite scatoloni e ben nascosti tra gli oggetti portati all’interno del carcere da parenti e familiari. Le schede sim, invece, intestate a cittadini stranieri o persone inesistenti. Un modus operandi tipico, ma anche il più “intercettabile” da parte degli agenti della Polizia penitenziaria: non a caso negli ultimi mesi sono cominciati a circolari metodi più sofisticati, come l’uso di droni per sorvolare le mura e recapitare cellulari e droga. Tra il 2022 e il 2024, segnala il Sappe, ben 4931 dispositivi sono stati sequestrati, molti in Calabria e tra i detenuti ad alta sicurezza.
Gli ordini dal carcere
Tra i casi più eclatanti e recenti in Calabria, quello di Edoardo Mangiola, ritenuto dagli inquirenti a capo del locale di Spirito Santo della ‘ndrangheta reggina e condannato a 20 anni di carcere nel processo Atto Quarto. Nell’inchiesta, scattata nel 2023, era emerso come grazie all’uso di cellulari avrebbe continuato a dare indicazioni alla propria famiglia per portare avanti gli affari. Ancora più emblematica l’operazione Call Me della Dda di Catanzaro, scattata lo scorso aprile: nel mirino la cosca La Rosa di Tropea, legata ai Mancuso, con alcuni esponenti che avrebbero beneficiato, all’interno del carcere, di cellulari e addirittura di una connessione wifi per comunicare con l’esterno per un totale di 30 mila conversazioni monitorate e, in alcuni casi, 2 mila telefonate a settimana intercettate. «Professionisti del crimine» come li definì il procuratore Salvatore Curcio, capaci di eludere i controlli e sfruttare le più recenti innovazioni tecnologiche. Una «situazione allarmante» che richiede, come invocano i magistrati, contromisure urgenti, come i «jammer» o strumenti capaci di filtrare le telefonate. In pratica, delle “sbarre” virtuali per fermare la rete di comunicazione clandestina della ‘ndrangheta. (ma.ru.)
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