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“dove cresce la Calabria”

Dal lievito madre ai grani autoctoni, il ritorno al pane che racconta il territorio – VIDEO

Walter Cricri, direttore dell’Inap, è il nuovo ospite del format in onda su L’altro Corriere Tv. Un prodotto d’eccellenza e variegato che richiama la storia calabrese

Pubblicato il: 10/12/2025 – 15:31
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Dal lievito madre ai grani autoctoni, il ritorno al pane che racconta il territorio – VIDEO

LAMEZIA TERME Il pane come «biglietto da visita di ogni territorio» con le sue varietà, il suo sapore particolare e le diverse procedure che ne contraddistinguono la qualità. Lo spiega Walter Cricri, direttore dell’Istituto Nazionale Assaggiatori di Pani, ospite della nuova puntata di “Dove cresce la Calabria”, il format diretto da Saveri Sesto e in onda su L’altro Corriere Tv. Dopo le prime puntate dedicate all’oro verde calabrese, l’olio, spazio a un altro prodotto di eccellenza dell’artigianato calabrese: il pane.

La lunga tradizione del pane

Un prodotto fortemente legato al territorio in cui viene prodotto, non a caso Cricri restituisce l’immagine del pane come biglietto da visita «perché rappresenta le peculiarità agricole da cui poi si ricava l’agroalimentare che il pane avrà il compito di accompagnare». In virtù anche della sua grande varietà: ogni borgo può dare caratteristiche diverse al prodotto. «Abbiamo avuto modo negli anni di poter osservare anche in Calabria questa diversità. In poco tempo abbiamo individuato circa un centinaio di tipologie diverse che si distribuiscono su tutta la nostra regione. Questa diversità dipende dalla modalità di lavorazione e dalle materie prime». Un ruolo centrale lo giocano il lievito madre e l’acqua, un dualismo che «alla fine va a caratterizzare le varie diversità. L’acqua va a condizionare la selezione dei microrganismi dal momento che una parte importante del lievito madre è la componente batterica».

La panificazione in Calabria

Un settore di lunga storia, che negli ultimi anni ha subito veloci trasformazioni. «Per fortuna in Calabria ancora no» precisa il direttore Inap. «Si sono mantenute le stesse procedure, soprattutto nei territori interni che non hanno subito l’inquinamento delle varie mode che hanno portato pani più semplificati e immediati». Invece, spiega Cricri, il pane ha bisogno dello stagionamento, anche se richiede tempo. «Le nostre famiglie per abitudini alimentari non sono più abituati a consumare un pane che non sia appena sfornato». Il gusto è mutato anche nel consumatore, trascinato dalla panificazione moderna che ha avuto come conseguenza – secondo Cricri – un peggioramento della qualità «abituando il consumatore a gusti nuovi e aggressivi, anche condizionati dalla presenza di semi o sfarinati un po’ innovatici, che non è detto portino sempre benefici», mentre la panificazione tradizionale ha bisogno di tempi più lunghi affinché si liberino le vere proprietà del pane.

In Calabria centinaia di tipologie

Una procedura che si continua a fare ancora in alcune parti della Calabria, dove però «non siamo autosufficienti nella produzione dei cereali». Per questo – spiega – si sta cercando di risvegliare la produzione di grani autoctoni che per tempo hanno caratterizzato i vari pani calabresi.  «A seconda dei vari territori noi abbiamo diversi cereali, come la produzione di segale nel Reggino». Ma anche altri territori legati a una panificazione storica, come la Sila o le Serre o le eccellenze calabresi come il pane di Cutro o di Tessano.  «Oggi, però, è molto difficile trovare anche su questi territori delle produzioni in purezza, cioè delle produzioni che abbiano  una filiera per intero svolta sul territorio».

Il pane stagionato

Contro la speculazione sul pane, si cerca dunque di orientare anche il consumatore verso prodotti di qualità.  «Ovviamente i pani di questa fattura hanno un costo più elevato rispetto a un pane decongelato. L’investimento energetico sicuramente è importante, spesso i panificatori fanno fatica a compensarlo con il prezzo del pane sul territorio, proprio perché purtroppo a competere c’è quell’altro tipo di panificazione». Per Walter Cricri «non bisogna andare alla ricerca del pane sfornato alle 7 di mattina», ma di un pane «stagionato, perché il pane non si consuma quando è caldo, ma quando si è già raffreddato ed è evaporata l’acqua in eccesso. A quel punto inizia la maturazione che permette di stagionare un pane nei giorni successivi».

Come riconoscere la qualità del pane

È una “cultura” che cerca di diffondere l’Inap, nata nel 2009, che promuove il pane di qualità da ricercare tramite una «degustazione consapevole. Il nostro intento fin dalla nascita è stato quello di creare un metodo a disposizione di chiunque di individuare la qualità del pane attraverso delle “chiavi” che sono date dalla componente aromatica, dalla colazione, dal grado di cottura». Per riconoscere un pane di qualità, spiega Cricri, «si parte innanzitutto dalla “faccia”, che forma le tre F del pane: faccia, fondo e fianchi. Da questa possiamo riconoscere la tipologia, possiamo vedere i tagli e le crepe che danno sicuramente indicazioni. Così come la colorazione, se abbiamo pani “pallidi” capiamo che è stato poco nel forno e ci sarà una digeribilità limitata. Il pane deve essere uniformemente cotto. La crosta e la sottocrosta ci danno indicazioni, così come la distribuzione degli alveoli ci aiuta a capire il lievito utilizzato». Anche le caratteristiche olfattive, prima della masticazione, aiutano nell’«apprezzare le componenti aromatiche». L’Inap organizza dei corsi ad hoc per assaggiatori di pane: «Uno di questi dovrebbe partire nel Lametino a breve». (redazione@corrierecal.it)

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