Regione Calabria, un inizio tra “déjà vu” e nuovi scenari
Gli assetti degli organigrammi ad ogni nuovo avvio hanno sempre subito rallentamenti e suscitato discussioni

CATANZARO Gli assetti degli organigrammi della Regione (in specie quelli dell’Assemblea legislativa) ad ogni nuovo avvio hanno sempre subito rallentamenti e suscitato discussioni. Tuttavia, se è condivisibile la differenza tra l’inizio dell’attuale legislatura (volta più ad appagare le richieste dei Gruppi consiliari e l’ampliamento della Giunta con due assessori e il sopraggiungere di due sottosegretari) e quella precedente (contraddistinta da significative riforme nella sanità: da “Azienda zero” alla costituzione, inseguita da due decenni, dell’“Azienda Dulbecco”), c’è da osservare che tra la XIII e la XII legislatura non c’è stata (se non formalmente) soluzione di continuità. E che a dare il verso alle due legislature, rendendole comunicanti e interrelate, è – come mai prima – lo stesso Presidente di Regione. In realtà, si potrebbe asserire che si tratti di un’unica esperienza politica e amministrativa, che vede (come nei quattro anni alle spalle) un Presidente di Giunta iperattivo su vasta scala, una maggioranza preponderante e in grado di addomesticare le frizioni interne ogniqualvolta debordano e un centrosinistra senza bussola che, invece di sollevare fin da subito le questioni che incidono nella carne della società (e, nel caso specifico, la necessità per la Regione di continuare ad avere Commissioni improduttive), si duole perché il centrodestra non l’ha omaggiato della Presidenza della Commissione Vigilanza.
Quasi che, per controllare l’attività dell’Esecutivo, non bastassero le prerogative in capo ad ogni consigliere e fra l’altro trascurando l’adagio, azzeccatissimo in politica, che “a lagnarsi non c’è guadagno”.
Per tornare alle differenze tra l’inizio delle due legislature su cui spicca Roberto Occhiuto, ciò che può essere segnalato è che è cambiato, in maniera abnorme, il contesto politico nazionale che, sempre più polarizzato e perennemente in campagna elettorale (a marzo-aprile si attende la sfida più delicata del referendum sulla giustizia), comprime le peculiari dinamiche regionaliste e le omologa e le piega agli obiettivi dei partiti e dei leader nazionali. Se è sensato preoccuparsi, come chiosano autorevoli opinionisti, dell’eccessivo ruolo (e visibilità) assunto dai Presidenti-Governatori di Regione nello scenario italiano, altrettanta preoccupazione dovrebbe riservarsi per l’oscuramento dei problemi che assillano, da troppo tempo, le regioni e più gravemente quelle del Sud.
Così, in un frangente difficile, zeppo di dispute sulla politica estera che evidenziano lacerazioni profonde nelle aggregazioni principali e discussioni sui sommovimenti provocati dalla rivoluzione informatica e biotecnologica, non trovano sufficiente attenzione le problematiche delle regioni storicamente svantaggiate che, al di là delle spumeggianti rassicurazioni dei “Palazzi”, restano in coda ad ogni seria statistica sulla qualità della vita. Posto tutto ciò, le forze politiche che per la terza volta di seguito hanno conquistato la Regione, dovrebbero avvertire la responsabilità di andare speditamente oltre l’indolente e autoreferenziale prassi istituzionale, per superare l’evidente deficit di fiducia dei cittadini nell’Istituzione regionale che condiziona negativamente la qualità della democrazia calabrese. Dal lato delle opposizioni sarebbe utile, per costruire l’alternanza di governo (quando sarà) e (non ultimo) per dare una mano alla Calabria in una congiuntura internazionale complicata, archiviare, una volta per tutte, il metodo della contrarietà politica pregiudiziale, con uno slancio progettuale all’insegna di un meridionalismo costituzionale che non può esaurirsi nel fermo dissenso alla “proposta monstre” dell’Autonomia regionale differenziata.
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