Bronzi di Riace, la “Statua B” parla calabrese. «Terre compatibili con Sibari»
La composizione delle terre di fusione interne è distinta da quella della Statua A. Scenario possibile: officina calabrese, committenza siceliota e un viaggio interrotto nel Mediterraneo

LAMEZIA TERME Se il luogo di assemblaggio dei “Bronzi di Riace” sembra indicare Siracusa, il luogo di produzione delle sezioni interne resta più complesso. È quanto emerge ancora dallo studio pubblicato sull’Italian Journal of Geosciences, in un secondo aspetto che approfondiamo dopo aver affrontato la prima parte legata alla geochimica che porta dritti fino al Tempio di Zeus Olimpio. Dallo studio emergerebbe, infatti, una sorta di “filiera differenziata”: due statue, due terre di fusione, due geografie. Già perché lo studio mostra come le terre di fusione delle due statue non siano identiche: quella del Bronzo B è composizionalmente compatibile con i sedimenti dell’area di Sibari, in Calabria settentrionale. È un punto pesante perché la stessa area, secondo studi francesi sul Charioteer di Delfi, sarebbe stata attiva nella produzione bronzea commissionata proprio dai Deinomenidi, aprendo dunque uno scenario che vedrebbe il collegamento di tre poli: l’officina di Pythagoras di Reggio; le committenze siracusane e un possibile centro tecnico nella piana di Sibari.
I Bronzi non sono rimasti per millenni là dove sono stati trovati
Dunque, secondo quanto emerge dallo studio pubblicato sull’Italian Journal of Geosciences, in sostanza per la “Statua A” la questione resta aperta: possibile Sibari da un’altra cava o Argos/Peloponneso. Qui lo studio è ancora cauto e tiene in piedi la tradizione “argiva” per almeno parte dei modelli. Sul fronte taphonomico, invece, lo studio affronta un altro dogma: i Bronzi non sono rimasti per millenni là dove sono stati trovati. La stratificazione delle patine, l’azione biologica marina, la composizione dei carbonati e l’analisi granulometrica del fondale indicano «una lunga deposizione primaria in fondali molto più profondi e in contesti idrodinamici diversi». Tradotto, Riace non è il punto originario di affondamento.

Le statue quando lasciarono Siracusa?
Ipotesi che aprono il dibattito inevitabilmente, con un unico vero interrogativo finale: le statue quando lasciarono Siracusa? Le fonti offrono tre finestre: i saccheggi dopo la spedizione di Pirro (276 a.C.); il saccheggio romano del 212 a.C. sotto Marcello (ritenuto il più probabile) oppure durante i trasferimenti successivi sotto Tiberio o Adriano, che collezionavano opere greche. Per gli studiosi, in tutti i casi, la dinamica è la stessa: prelievo di opere monumentali per Roma, trasporto navale, perdita o trasferimento clandestino. La revisione conclusiva degli autori è secca: la “pista siracusana” è coerente nei dati chimici, nelle fonti storiche, nelle compatibilità stilistiche, nella propaganda dinastica, nella topografia civile e religiosa, nei percorsi navali e negli scenari di trafugamento. Non una certezza definitiva, ma una ricostruzione che oggi appare più solida delle ipotesi precedenti.

Anche in questo caso, proviamo a rispondere ad alcune domande chiave:
- Perché Sibari è importante?
Perché la stessa area è stata collegata all’Auriga di Delfi, un’altra opera monumentale commissionata dai tiranni di Siracusa. Significa che quel distretto ionico poteva avere manifatture bronzee di alto livello.
- Cosa resta dell’ipotesi “solo Argos, solo Grecia”?
Resta in piedi per la Statua A, ma non può più essere esclusiva. B apre la porta a un’articolazione mediterranea: Sicilia, Grecia, Calabria.
- Che cosa suggerisce l’ipotesi Sibari per il trasporto?
Che le statue potevano seguirsi lungo rotte ioniche, spostate per committenza oppure trafugate dopo il 212 a.C. Il mare di Riace sarebbe una tappa, non un destino.
- In sintesi, che cosa cambia davvero?
Passiamo da una narrativa monolitica (Grecia → nave → Riace) a uno scenario complesso fatto di centri, competenze, traffici e politica mediterranea. Sta lì la rivoluzione.
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