Un`immagine distorta
«Aggredito», «grave atto intimidatorio», «ennesimo vile atto intimidatorio», «aggressione personale», «gravi minacce subite da parte della ’ndrangheta», «vile intimidazione», «spiacevole incidente»…

«Aggredito», «grave atto intimidatorio», «ennesimo vile atto intimidatorio», «aggressione personale», «gravi minacce subite da parte della ’ndrangheta», «vile intimidazione», «spiacevole incidente», «finte iene», «finti giornalisti», «due energumeni», «uomini minacciosi»: dal 22 febbraio ad oggi, sui giornali, le televisioni, il web e le agenzie di stampa, non si è andati troppo per il sottile nel definire i fatti di via Magellano. Dopo le dichiarazioni di fuoco del presidente di Ammazzateci Tutti, Aldo Pecora, giornalisti, politici di primo piano, figure di riferimento nazionale dell’associazionismo antimafia, finanche rappresentanti di sindacati di polizia, non hanno voluto attendere il primo esito delle indagini, accreditando una versione oscura del faccia a faccia di quella sera. Sarebbe infatti bastato leggere il verbale stilato nella stazione dell’Arma di Cinquefrondi, nell’immediatezza dei fatti, per farsi un’idea precisa su ciò che era accaduto. «Giunti sul posto – hanno scritto i carabinieri – notavamo la presenza di due soggetti i quali, uno munito di telecamera accesa e l’altro di microfono, cercavano di intervistare tale Pecora Aldo Vincenzo residente a Cinquefrondi in via Magellano 5».
Come possa sembrare possibile che qualcuno «aggredisca», «minacci», «intimidisca» recando per strada un microfono in mano e una telecamera accesa, rimane uno dei misteri buffi di questa vicenda. Al pari dell’altro dubbio che a chiunque sarebbe venuto dopo aver letto un altro passaggio del verbale. «Si precisa – scrivono ancora i carabinieri nella parte del documento dedicata a quello che hanno visto dopo il loro intervento sotto l’abitazione di Pecora – che il Macrì Michele era vestito in modo insolito in quanto indossava una coppola siciliana ed una collana di peperoncini in modo da creare uno scenario per le videoriprese che aveva intenzione di fare». Cappello nero e cornetti piccanti ben visibili addosso all’intervistatore e messi nero su bianco in un documento ufficiale, quindi, non hanno impedito il can can mediatico unidirezionale che si è sviluppato dopo quella sera. Gli stessi carabinieri non hanno mai formulato ipotesi di reato quali aggressione, minacce, violenza o ingiuria. Non potevano farlo visto che loro stessi avevano notato gli strumenti che sono stati necessari per fare un’intervista, e non un agguato, limitandosi a indicare come ipotetici reati – per motivare il sequestro del video e dell’apparecchiatura – «l’esercizio abusivo della professione» e «interferenze illecite nella vita privata». Comportamenti dai presunti profili penali piuttosto circoscritti, certamente distanti anni luce dai reati che le abbondanti dichiarazioni a mezzo stampa, invece, hanno per quasi due mesi accreditato. Del resto lo stesso Aldo Pecora non ha usato la parola «aggressione» o «minaccia» nelle dichiarazioni messe a verbale. Altri accertamenti della Procura di Palmi sono ovviamente in corso, a partire dalla verifica di ciò che ha dichiarato a verbale quella stessa sera Macrì: «Sono un comunicatore per l’interesse pubblico – ha dichiarato – socio accomandatario della Radio Margherita». Quindi un uomo che fa informazione in regola con la legge, visto che la sua testata è regolarmente registrata dal 2010 al Tribunale di Locri.