`Ndrangheta in Lombardia, per il gup: «Un`autonoma associazione»
MILANO È come un`enciclopedia che illustra come la `ndrangheta sia riuscita a conquistare il potere in Lombardia. Nelle motivazioni della storica sentenza “Infinito”, infatti, vengono messe per iscri…

MILANO È come un`enciclopedia che illustra come la `ndrangheta sia riuscita a conquistare il potere in Lombardia. Nelle motivazioni della storica sentenza “Infinito”, infatti, vengono messe per iscritto le ragioni per cui il Tribunale di Milano, lo scorso novembre, ha deciso di condannare 110 persone: i presunti affiliati a quelle cosche che negli anni sono riuscite ad affrancarsi dalla “casa madre“ calabrese e a sfruttare appoggi e “contatti“ con la politica, anche regionale. In 905 pagine il gup Roberto Arnaldi ricostruisce “vita e opere” delle 15 “locali” (i clan in gergo `ndranghetista), sparse tra il capoluogo lombardo e l`hinterland fino a Pavia e Como, e smantellate dalla maxi-operazione della Dda coordinata dall`aggiunto Ilda Boccassini con i pm Paolo Storari e Alessandra Dolci, che nel luglio 2010 portò ad oltre 170 arresti nella sola Lombardia. Il maxi-processo con rito abbreviato si concluse il 19 novembre: solo 8 assolti su 118 imputati e condanne fino a 16 anni di reclusione per numerosi presunti boss, tra cui Alessandro Manno, Pasquale Zappia, Pasquale Varca e Vincenzo Mandalari. Dalle motivazioni, appena depositate, emerge un quadro che lo stesso giudice definisce “inquietante“ sia per «l`imponente numero di eventi intimidatori» che – segnale ancor più preoccupante – per «l`omertà delle vittime, che sempre hanno dichiarato (…) di non aver mai ricevuto pressioni o minacce di alcun tipo». Fatto sta che il gup conta «centotrenta incendi dolosi» e «oltre settanta episodi intimidatori commessi con armi, munizioni e in alcuni casi esplosivi». Più generale poi “pesano” le parole utilizzate per descrivere cosa è diventata la `ndrangheta in Lombardia: «Un`autonoma associazione composta da soggetti ormai da almeno due (in alcuni casi tre) generazioni presenti sul territorio lombardo», che ha «riprodotto» e «trapiantato» una «struttura criminale» già collaudata. In pratica, la mafia calabrese «si è trasferita» nelle terre più ricche «con il proprio bagaglio di cultura criminale», diffondendosi «attraverso un vero e proprio fenomeno di colonizzazione, cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti», fino a formare «uno stabile insediamento». E addirittura una “cupola”, la “Provincia Lombarda”, i cui vertici vennero rinnovati nel famoso summit nel centro Falcone-Borsellino – un oltraggio alla memoria – a Paderno Dugnano, nel 2009. Organizzazione che poi ha acquistato col tempo «un certo grado di indipendenza dalla casa madre con la quale, però, continua ad intrattenere rapporti molto stretti». E così si è arrivati all`inquinamento della politica e delle imprese. È emerso, scrive il gup, che Cosimo Barranca, capo del “locale” di Milano, «aveva avuto specifici contatti anche con personaggi» importanti «nel campo politico nazionale, regionale ed anche locale»: tra questi l`ormai ex «sottosegretario alla Regione Lombardia» Angelo Giammario, «per il tramite di Chiriaco Carlo Antonio (l`ex dirigente della Asl di Pavia sotto processo con rito ordinario per concorso esterno, ndr)». Giammario, consigliere regionale, ha voluto sottolineare «che con queste persone non ho mai avuto frequentazioni perché mi fanno schifo». Tra gli imputati due soli i politici: Giovanni Valdes, ex sindaco di Borgarello (Pavia), condannato a un anno e 4 mesi per turbativa d`asta, e Antonio Oliverio, ex assessore provinciale milanese, assolto dall`accusa di corruzione aggravata dalla finalità mafiosa. Per lui, dice il gup, si può parlare soltanto di «traffico di influenze». Nelle mani della `ndrangheta è finita però l`azienda «leader nel campo dell` edilizia in Lombardia», la Perego Costruzioni, che, come chiarisce il gup, con i suoi «ben sessantaquattro cantieri aperti» era diventata «una società nella quale la mafia partecipava direttamente al capitale sociale». Salvatore Strangio, conclude il gup, spiegava, in una delle migliaia di intercettazioni agli atti (il cuore dell`inchiesta), che “il Gruppo Perego“ doveva «mantenere ben centocinquanta famiglie calabresi» e puntava, prima che scattasse il blitz, all`«aggiudicazione di appalti Expo».