IL COMMENTO | Un errore manifesto
È stato un errore, quel manifesto. Compiuto in estrema e sicura buona fede da molti dei firmatari, consumato callidamente e disperatamente da altri. È stato un errore e proviamo, sommessamente, ad el…

È stato un errore, quel manifesto.
Compiuto in estrema e sicura buona fede da molti dei firmatari, consumato callidamente e disperatamente da altri.
È stato un errore e proviamo, sommessamente, ad elencarne le ragioni:
1) Muove da un pregiudizio sbagliato. Dà per scontato che Reggio ed i suoi abitanti siano vittime di un giudizio scontato: tutti inetti, tutti mafiosi, tutti dediti alla illegalità. Non è così ed il recente passato ha anche dimostrato che non è così. Mi riferisco a quella “primavera” reggina, sbocciata con Italo Falcomatà ed appassita negli anni successivi. Come negare che in quegli anni si realizzò un moto di simpatia istintiva e di solidarietà verso una Reggio che pure usciva da anni terribili? Proviamo a ricordarli quegli anni contrassegnati da una gestione commissariale con il prefetto D’Aloisio che voleva svendere i beni comunali per ripianare i debiti; con una guerra di mafia che aveva contato oltre settecento morti ammazzati: esecuzioni nei bar, tra la gente, davanti al museo, persino dentro al cortile del carcere; con una disoccupazione cavalcante ed i ristoranti vuoti per paura di uscire di casa.
Eppure ci fu gara (gratis!) nello stare vicini al sindaco della Primavera: l’Inter prestava i suoi gioiellini Pirlo e Kallon alla neopromossa Reggina; Gianni Amelio girava una lungometraggio che poi qualcuno ha nascosto (per vergogna?); le spose tornavano in Via Marina per le loro foto.
Nessun pregiudizio contro Reggio, dunque, semmai delusione nel vederla irrimediabilmente disposta a subire le figuracce che una nuova classe dirigente arruffona e pasticciona, disinvolta e arrogante, incolta e cinica gli comminava quotidianamente. Qualcuno, in questi anni di delirio e orgia del potere, ha anche tentato di chiedere ai reggini perché non reagissero: le telecamere immortalavano la risposta «pecchì `ndi stamu divertendu».
2) È un errore quel manifesto, perché si ferma a 379 firme quasi a dire che i difensori dell’onore di una città di duecentomila persone supera a stento gli eroi di Leonida alle Termopoli. Chi ha scelto le persone da invitare alla firma? Con quali criteri?
3) È un errore perché tra i firmatari mancano alcuni dei promotori del manifesto, la città mormora e le cose si sanno. Perché chi ha chiamato molti alla firma non ha poi firmato?
4) È un errore perché consente nuovi equivoci. Ci sono autorevolissime figure tra i firmatari, gente che onora la città e serve i cittadini con la sua silenziosa e costante professionalità. La loro generosità e la loro onestà intellettuale non è in discussione, da Gaetano Topa a Ninetto Zoccali, passando per Attilio Funaro e diversi e diversi altri. Altre firme rischiano quantomeno il conflitto d’interessi: l’avvocato che difende il governatore ed ex sindaco in tutte le sue varie vicende giudiziarie; il responsabile dei consulenti legali della Regione; il marito dell’assessore comunale che assessore era con Scopelliti ed assessore è con Arena, finendo lui stesso per essere gratificato di nomina regionale. Ecco, forse sarebbe stato il caso di evitare che “i nemici di Reggio” possano storcere il naso davanti a firme il cui disinteresse è certo, mischiate con firme dal disinteresse quantomeno opinabile.
5) È un errore perché, come è normale che sia, su quel manifesto e sui firmatari, Digos e carabinieri, come tutti gli sgamati sanno, redigono un rapporto per il Viminale e consentire loro di segnalare tra i firmatari anche il cognato di un boss all’ergastolo per più condanne definitive per omicidio non è certo un buon risultato.
6) È un errore perché già si contano le reazioni di chi non ci sta a far finta che a Reggio non è successo niente e non sta succedendo niente. Due esempi di queste ore: il sit-in dei genitori che vengono presi per i fondelli sulla mancata consegna dei libri di testo agli alunni reggini e che espongono un manifesto chiaro e inequivoco: “Non facciamo finta di vivere in una città normale”. La decisione di “Reggio non tace” di rivolgersi al Tar per farsi riconoscere un diritto democratico che il Comune gli nega: un’assemblea pubblica.
7) È un errore perché indirizza la propria, più che legittima, indignazione solo verso Roma e non dice una parola su chi ha portato Reggio in condizione di subire una Commissione d’accesso, su chi ha distratto fondi, su chi ha consentito a dipendenti e manager di drenare risorse comunali.
Né basta, per lavarsi la coscienza, un generico riferimento alla fiducia nelle istituzioni e bla, bla, bla. Le «istituzioni» davanti a quanto accaduto a Reggio possono fare due cose: starsene a guardare tirando di gomito e bollando il tutto come “fatti loro”; oppure intervenire per mettere fine al letamaio. Siamo onesti, fin qui le “istituzioni” hanno fatto entrambe le cose: prima sono rimaste a guardare facendo finta di non vedere e non sentire, poi hanno deciso che bisognava intervenire. Intanto la febbricola non curata è diventata una setticemia e ora c’è chi vorrebbe prendersela con il medico chiamato ad amputare la gamba.
No, non sono le sorti di Reggio in ballo. Reggio dalla chiarezza può solo trarre giovamento. A rischio sono le fortune di una piccola élite che vorrebbe farla franca.