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A Cosenza la destra di piazza e di governo

COSENZA Chiuso dentro una sala blindata, con alcune decine di persone, tra cui qualche sgomitante signora desiderosa di farsi firmare una copia del suo libro, Stefano Delle Chiaie ha potuto alla fine…

Pubblicato il: 28/09/2012 – 21:36
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A Cosenza la destra di piazza e di governo

COSENZA Chiuso dentro una sala blindata, con alcune decine di persone, tra cui qualche sgomitante signora desiderosa di farsi firmare una copia del suo libro, Stefano Delle Chiaie ha potuto alla fine parlare. Il palazzo del Coni, dove i nostalgici si erano dati convegno era assediato dai cori del presidio antifascista che da sotto non dava tregua. Un centinaio di giovani che malgrado l’età hanno il vizio di non dimenticare le tracce  di sangue che per tutti gli anni settanta – ma anche dopo – le trame nere hanno seminato per il Paese. Fuori gli slogan antifascisti, dentro una platea attempata, chiamata a raccolta da chi in gioventù militava nelle destra eversiva e oggi guida una società in house della Regione Calabria. Al fianco di Mimmo Barile, presidente della Field, era seduto con la sua faccia capace di una sola espressione Stefano Delle Chiaie, protagonista inquietante di una stagione golpista in Italia e con buone amicizie presso le più crudeli dittature militari sudamericane, di cui fa vanto nelle pagine del suo libro dal titolo “L’aquila e il condor”.
I manifestanti parlano di tre feriti – così secondo l`esponente di Sel Antonio Curcio – ma in ospedale sarebbe giunto soltanto un attivista «medicato in ospedale e dimesso con una prognosi di cinque giorni per un`abrasione all`occhio», secondo fonti di agenzia. Alla fine la cronaca della giornata non è fatta delle cariche della polizia contro i manifestanti radunati davanti al luogo dell’incontro, e nemmeno del dibattito sul fatto se sia giusto che una città come Cosenza dovesse dare o no spazio a un personaggio come Delle Chiaie, ma piuttosto che la destra ufficiale italiana e quella calabrese nello specifico, certe volte non si trattengono e fanno emergere la loro vera anima nera. Deve essere come un incontrollabile rigurgito, una nostalgia, non di un regime che per questioni di età non si è conosciuto, ma della propria giovinezza, di quando ci si salutava col braccio teso e si tracciava con la bomboletta spray la svastica sui muri di scuola. Perché si può anche da ragazzi aver creduto nel Duce e nell’età della maturità aver conquistato la credibilità di severi conservatori, ma se ci si siede al fianco di chi rivendica di aver avuto ospitalità dai torturatori argentini, allora il gioco è svelato.

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