Luci e ombre dell`«ultimo mazziniano»
COSENZA Ci sono personaggi che pur avendo attraversato da protagonisti la fasi cruciali della vita politica del nostro Paese, sono stati confinati nell’oblio e ogni tanto tornano ad agitare i loro sp…

COSENZA Ci sono personaggi che pur avendo attraversato da protagonisti la fasi cruciali della vita politica del nostro Paese, sono stati confinati nell’oblio e ogni tanto tornano ad agitare i loro spettri grazie a un libro che ne richiama la memoria. Ad evocare il fantasma di Randolfo Pacciardi, figura complicata e contraddittoria pur nel suo rigore, è stato Paolo Palma, parlamentare del centrosinistra all’epoca dell’Ulivo, giornalista e storiografo, con un libro edito da Rubbettino, dal titolo “Randolfo Pacciardi, l’ultimo mazziniano” e come spesso accade un lavoro di ricostruzione storica si è trasformato in una occasione di dibattito politico sulla mutevole attualità.
Nel salone degli Specchi della Provincia di Cosenza, l’autore ne ha discusso con i professori Franco Crispini e Silvio Gambino, guidati nel dibattito da Giulia Fresca, mentre l’assessore Maria Francesca Corigliano, faceva gli onori di casa. Un dibattito dal quale Pacciardi è emerso con tutta la sua contraddittorietà, lui mancato attentatore del Duce, esule e combattente in Spagna, poi protagonista della rinascita politica del Paese, fiero antifascista e ugualmente severo anti comunista, la cui figura pare abbia ispirato quella del mitico Victor Laszlo che fugge da Casablanca. Ma pure uomo dalle forti tentazioni golpiste e con oscure amicizie americane. Ce n’era abbastanza per un confronto serrato, al quale gli interlocutori non si sono sottratti. Crispini per esempio ha messo in evidenza la contraddittorietà del personaggio e anche un certo suo opportunismo nell’ammantarsi del mazzinianesimo, qualche volta in modo incongruente. Né da parte dell’ex preside della facoltà di Lettere è mancata l’accusa di populismo, da cui una certa attualità del personaggio, quando ha ricordato che Pacciardi fondò un giornale dal nome inequivocabile: “ La Folla”.
Ma l’attualità della figura, in vero molto amata da Palma, non si esaurisce in questo, essendo stato Pacciardi anche un sostenitore del presidenzialismo, sia pure con qualche ambiguità. Infatti, è stato Silvio Ganmbino a ricordare che Pacciardi era all’inizio preoccupato dalla possibilità di conferire «troppo potere a un uomo solo», per poi conoscere una deriva francamente antidemocratica che lo avvicinò alle posizione del golpista Edgardo Sogno. Gambino ritiene Pacciardi sia stato incapace di cogliere la portata della novità del primo dopoguerra, quando nacquero i grandi partiti popolari. Né, a giudizio del costituzionalista, Pacciardi fu capace di percepire che la nuova democrazia nasceva dalla esperienza resistenziale, che rappresentava la sintesi di due visioni dialetticamente opposte, quella del mondo cattolico e della cultura comunista.
E come se non bastasse, l’attualità di Pacciardi aumenta, quando lo stesso Gambino ricorda il “disgusto morale” che gli suscitava la partitocrazia, sentimento che lo avvicinò al gollismo. Quando tocca a Palma parlare di Pacciardi, l’autore del libro non cela un certo affetto per il personaggio, che ha conosciuto personalmente e lungamente frequentato. «Gli portavo i fichi calabresi», confessa l’ex parlamentare dell’Ulivo che ha avuto modo nei suoi studi di accedere a documenti assai difficili da rinvenire. Il lavoro di storico tuttavia non è stato inficiato dall’innegabile fascino che Pacciardi ha esercitato su Palma, che peraltro proviene da una cultura politica del tutto diversa e che infatti non nega, anzi rileva senza esitazioni, le ombre pesanti che gravano sul personaggio, il quale tuttavia secondo l’autore del libro, resta «un gigante, soprattutto a paragone di tanti contemporanei».