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Processo Meta, le due strutture secondo Villani

REGGIO CALABRIA È l`ossatura stessa della `ndrangheta quella che il collaboratore di giustizia Consolato Villani, ascoltato oggi in qualità di testimone al processo Meta, è tornato a delineare in aul…

Pubblicato il: 16/11/2012 – 20:51
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Processo Meta, le due strutture secondo Villani

REGGIO CALABRIA È l`ossatura stessa della `ndrangheta quella che il collaboratore di giustizia Consolato Villani, ascoltato oggi in qualità di testimone al processo Meta, è tornato a delineare in aula, sollecitato dal fuoco di fila delle domande delle difese. Ma soprattutto, Villani è tornato a confermare che la `ndrangheta pur essendo univoca, nel tempo ha saputo articolarsi, adeguandosi ai tempi con una struttura più agile e flessibile, fatta da quella «`ndrangheta cattiva» che – dice il pentito – «si occupa di affari» e un`altra «che fa rituali e si riunisce a Polsi».

IL DIRETTORIO
«Questa non me l`ha raccontata nessuno, l`ho vissuta», afferma deciso Villani, nel disegnare questa `ndrangheta bifronte fatta di due anime che consentono l`un l`altra di sussistere. Contrariamente a molte delle notizie che lo stesso collaboratore afferma di aver appreso de relato dal cugino Nino Lo Giudice, un tempo boss dell`omonima famiglia, oggi pentito, o da Giovanni Chilà, suo nume tutelare nella galassia `ndranghetista, su questo punto Villani non ha dubbi. Così come non ha dubbi nel posizionare il baricentro di questa `ndrangheta cattiva ad Archi, periferia nord di Reggio Calabria, da almeno quarant`anni feudo incontrastato e quartier generale dei clan dei De Stefano, dei Tegano e dei Condello. E per il collaboratore sono proprio i massimi esponenti di queste famiglie – Pasquale Condello, Giovanni Tegano, Giuseppe De Stefano – insieme a Pasquale Libri  di Cannavò a dettare legge in città e non solo.
Per Villani infatti i quattro non sono semplicemente “crimine” o “capocrimine” – figure verticistiche della città, più o meno dotate di prestigio e di spessore criminale – ma soprattutto “capi in testa”, personaggi di  vertice non solo all`interno di un locale, ma della ndrangheta in generale, in grado di prendere decisioni autonomamente, con decine e decine di uomini al proprio comando. Ma non tutti – spiega il collaboratore – sono uguali. «A livello di potere, Condello è il più alto di tutti, e come tale era riconosciuto non solo all`interno della `ndrangheta reggina ma anche in generale». Il suo volere era legge e i suoi ordini non si potevano ignorare, ricorda il collaboratore. E sarebbe stata proprio la decisione di Pasquale Condello, il cui astro criminale è nato e cresciuto all`ombra di don Paolino De Stefano, di restituire al figlio il ruolo e il potere che era stato del padre, a determinare – a detta di Villani – la rapida ascesa di Giuseppe De Stefano nel firmamento criminale reggino.

L`EREDE
Certo, il giovane Peppe già da tempo sgomitava e aveva attirato l`attenzione. «Lui era il personaggio dei De Stefano che si era fatto più notare, era osservato da tutti 24 ore su 24, perché aveva un piglio decisionale che tutti ammiravano, era un azionista, uno che guidava i gruppi di fuoco e decideva le strategie». Un “tirocinio” che deve aver fatto propendere le simpatie di Condello per il giovane rampollo di casa De Stefano, preferito allo zio Orazio – più vicino ai Tegano per il suo matrimonio con Antonietta Benestare – all`epoca in cui la diversa concezione dell`azione criminale aveva creato una frattura all`interno del clan. «Non si è mai arrivati a due famiglie», sottolinea Villani, ricordando che sarà proprio “il Supremo” a mettere pace, nonostante sul giovane Peppe pesi il sospetto di essere il responsabile dell`arresto dello zio. «Condello aveva intenzione di affidare mansioni importantissime a Peppe De Stefano, in modo da sottolineare ulteriormente la sua importanza e il suo ruolo. Non so se questo in seguito si sia verificato o meno – ribadisce Villani – ma c`era un accordo fra De Stefano e Condello  ancora più stretto di quello che c`era fra Condello e Tegano. Giuseppe De Stefano era candidato a assumere il ruolo e l`importanza di Pasquale Condello».
Ma dietro il giovane Peppe avrebbe tessuto la propria tela anche l`avvocato Giorgio De Stefano, considerato dagli inquirenti l`eminenza grigia e il consigliori del clan, da tempo – asserisce Villani – entrato in rotta di collisione con Orazio. Un personaggio temuto e odiato dalla famiglia Lo Giudice, a detta del collaboratore, ma l`unico cui pensano ci si possa rivolgere per affari («Nino mi diceva che era molto legato a Gioacchino Campolo, dal quale voleva affittare un locale»), ma anche quando Luciano Lo Giudice – il fratello considerato dagli inquirenti l`anima imprenditoriale della cosca – finisce in manette. «Dopo l`arresto di Luciano, Nino mi ha fatto vedere Giorgio De Stefano perché sosteneva che dietro l`arresto ci fosse anche lui. Quando è stato arrestato Luciano abbiamo fatto una riunione per capire come muoverci e soprattutto come bloccare la condisca dei beni. L`unica persona che noi credevamo in grado di smuovere la situazione era Giorgio De Stefano, perché sapevamo che era da lungo tempo massone», ricorda ancora Villani.

ASCESE E CADUTE
Ma se per Peppe De Stefano l`interessamento di Pasquale Condello avrebbe significato una rapida carriera nel gotha criminale reggino, a detta del pentito, “il Supremo” avrebbe anche determinato la fine o comunque un serio ridimensionamento di alcuni clan, come quello dei Fontana. Cugino di Condello e un tempo vicinissimo a lui, Giovanni Fontana – ricorda Villani, per averlo appreso da Nino – avrebbe commesso il gravissimo errore di indispettire il potentissimo parente «non comportandosi bene». «A quel punto Pasquale Condello decise insieme ai De Stefano e ai Tegano di punirlo con gli attentati alla Leonia, per fargli fare “cattiva figura” dimostrando che non era in grado di proteggere nessuno. Con gli attentati, non si colpiva la Leonia o il Comune ma si colpiva Giovanni Fontana, perché la Leonia era cosa sua». O almeno lo era fino a quando “il Supremo” non ha deciso altrimenti.

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