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Processo Entourage, le curiose amnesie delle vittime di Pietro Siclari

REGGIO CALABRIA Formalmente sono vittime, ma chiamati oggi a testimoniare al processo Entourage che vede imputato l`imprenditore Pietro Siclari, arrestato con l`accusa di essere al servizio dei clan…

Pubblicato il: 26/11/2012 – 16:49
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Processo Entourage, le curiose amnesie delle vittime di Pietro Siclari

REGGIO CALABRIA Formalmente sono vittime, ma chiamati oggi a testimoniare al processo Entourage che vede imputato l`imprenditore Pietro Siclari, arrestato con l`accusa di essere al servizio dei clan, Francesco Cutrì e il fratellastro Giuseppe Alvaro, sembrano essere stati colpiti da una curiosa forma di amnesia che ha cancellato gli eventi del novembre 2006, facendoli piombare nel nebbioso regno del «non ricordo».
All`epoca, Antonio Cutrì, figlio di quel Francesco oggi chiamato a testimoniare, si era reso complice di una rapina ai danni di Siclari, all`epoca incensurato imprenditore. Circostanza che Siclari, fino al giorno del suo arresto nome e volto noto della cosiddetta Reggio bene, assurto agli onori delle cronache per i suoi rapporti più che cordiali con le `ndrine più diverse, dagli Alvaro di Sinopoli, ai Libri di Reggio, fino ai Barbaro di Platì, non aveva gradito per niente, tanto da dare il via ad un`indagine “privata”  – ricostruita dal pm Antonio De Bernardo – che proprio grazie ai contatti dell`imprenditore con gli uomini dei clan più potenti di Reggio e provincia arriverà a individuare uno dei responsabili. E nonostante Antonio fosse il figlio di uno dei suoi più vecchi dipendenti, Siclari, secondo le ipotesi formulate dall`accusa ascoltando ore e ore di intercettazioni, arriva addirittura a chiederne la testa. Un proposito che in seguito non si concretizzerà, stando alle carte, più per mancanza di disponibilità da parte degli uomini del clan che per mancanza di determinazione da parte dell`imprenditore. A pagare per il crimine del figlio sarebbe stato comunque il padre, costretto a interrompere il rapporto di lavoro con la ditta di Siclari per la quale aveva iniziato a lavorare nel lontano 1984, rinunciando – secondo le ipotesi dell`accusa – anche alla buonuscita.
È proprio questa ricostruzione che la difesa di Siclari, sostenuta dall`avvocato Carlo Morace, ha tentato di smontare con la testimonianza di un consulente di parte che ha analizzato la contabilità dell`azienda, e con quella di Francesco Cutrì e Giuseppe Alvaro.
Nonostante siano ufficialmente vittime dell`imprenditore, entrambi hanno rispoto alle domande del pm solo con un rosario di «no, non so, non ricordo, non è successo, non mi risulta». Una reticenza che ha spinto il sostituto procuratore De Bernardo a chiedere per Alvaro la trasmissione degli atti in Procura per falsa testimonianza e a valutare la medesima iniziativa per Cutrì.
Del resto, se Giuseppe Alvaro, parente di don Mico di Sinopoli, con il cui figlio si reca a Gambarie a una riunione con Siclari, ha addirittura difficoltà a ricordare il nome del congiunto e quell`incontro testimoniato da quintali di intercettazioni, il fratellastro di Cutrì sembra non ricordare neanche che il figlio fosse stato minacciato dall`ex datore di lavoro. «Ha detto tante cose, era in preda alla rabbia», minimizza, rispondendo a precisa domanda del pm.
Su una cosa però entrambi sembrano recuperare chiarezza e memoria: Siclari – raccontano i due – avrebbe sì affermato di voler trattenere la buonuscita di Cutrì a compensazione del denaro sottratto dal figlio durante la rapina, ma l`anno successivo, nel 2007, l`avrebbe versata a piccole tranche. Di cui nessuno dei due ricorda entità e date in cui sarebbero state versate. Ma in fondo, ha affermato Cutrì incalzato dal pm, anche se avesse deciso di trattenere i soldi della buonauscita «sarebbe stato giusto».

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