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Maurizio Lo Giudice getta ombre sulla credibilità del fratello Nino

REGGIO CALABRIA «La collaborazione di Nino Lo Giudice e Consolato Villani è stata organizzata ben prima che entrambi iniziassero a collaborare», non è tenero con il fratello Nino, il pentito Maurizio…

Pubblicato il: 17/12/2012 – 20:25
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Maurizio Lo Giudice getta ombre sulla credibilità del fratello Nino

REGGIO CALABRIA «La collaborazione di Nino Lo Giudice e Consolato Villani è stata organizzata ben prima che entrambi iniziassero a collaborare», non è tenero con il fratello Nino, il pentito Maurizio Lo Giudice, chiamato dall`avvocato di Maurizio Cortese, Giacomo Iaria, come teste a discarico nell`ambito del processo “Epilogo”.
Alla sbarra ci sono le nuove leve del clan Serraino, sulle quali hanno pesato anche le rivelazioni di Nino Lo Giudice, il collaboratore che si è autoaccusato delle bombe e degli attentati che nel 2010 hanno terrorizzato Reggio città. Ed è proprio per tarare, o meglio minare, la credibilità del fratello che Maurizio è stato chiamato a testimoniare. Un compito al quale non si sottrae, ma che getta ombre soprattutto al di là del procedimento odierno, in cui Maurizio Lo Giudice è stato coinvolto in qualità di teste.
«Non esiste una cosca Lo Giudice, non siamo mai stati una cosca di `ndrangheta, ma solo una famiglia molto numerosa. Ci muovevamo come un clan familiare, ma non siamo mai stati una cosca. La mia è una famiglia di lavoratori». Non ci sta Maurizio Lo Giudice ad accettare le dichiarazioni che il fratello Nino ha messo a verbale e ripetuto in diverse udienze, non ci sta a far passare l`intera famiglia come famiglia di `ndrangheta. «Nino – sottolinea – era l`unico ad essere fissato con la `ndrangheta, l`unico ad essere affiliato, gli altri non hanno mai avuto a che fare con tutto questo». Stando al racconto di Maurizio, a portare sulla cattiva strada Nino Lo Giudice sarebbe stato «suo compare Cosimo Moschera», che gli inquirenti considerano il reggente di Santa Caterina. «Io – dice Lo Giudice – conosco un`altra storia rispetto a quella che vogliono far credere».
Sulle ragioni della collaborazione del fratello è perplesso. «Non so perché queste cose, perché ha accusato Cisterna. Ma a dimostrazione che mio fratello non è attendibile, anche la pm Ronchi è stata onesta e ha chiesto l`archiviazione», sottolinea il pentito che si dimostra più che preparato e interessato alla cronaca giudiziaria reggina, tanto da essersi «documentato su internet» e aver «scaricato l`ordinanza» quando ha saputo che l`amico Maurizio Cortese era stato arrestato.
Non è un affiliato Lo Giudice, non è mai stato battezzato, ma afferma di conoscere la galassia delle `ndrine perché «in una città come Reggio Calabria non si può non convivere con  la `ndrangheta». E a suo dire, personaggi come Maurizio Cortese, a discarico del quale è stato chiamato a testimoniare, con la `ndrangheta non hanno nulla a che fare. A sostegno di tale tesi, il pentito racconta che mentre lui iniziava il percorso di collaborazione, Cortese avrebbe fatto spesso visita alla sua famiglia, ricevendo in dono anche dei vestiti dismessi per i propri figli. «Se fosse stato davvero un boss non avrebbe mai accettato questo affronto». Per Lo Giudice, Cortese era solo «un piccolo malandrino», uno che ha fatto degli errori ma non uno `ndranghetista. Almeno fino al 1999, anno in cui ha iniziato a collaborare, precisa su domanda del pm Lombardo, Maurizio Lo Giudice.
E fino a quel momento, con la `ndrangheta a suo dire non avrebbe avuto nulla a che fare neanche Consolato Villani, anche lui criminale di piccolo calibro, avvicinatosi molto al fratello Nino verso la fine degli anni 2000. Proprio Nino sarebbe stato, a detta del fratello, l`unico esponente della famiglia Lo Giudice con cui Villani avrebbe avuto rapporti, in seguito all`allontanamento della famiglia Villani dai Lo Giudice, all`indomani dell`omicidio del patriarca Peppe. «Quell`allontanamento per noi è stato un tradimento inaspettato».
Ma il fratello Nino e il cugino Consolato Villani, non sono gli unici pentiti contro cui Maurizio Lo Giudice si scaglia: «Mesiano, collaboratore? Vabbò, diciamo che è un collaboratore», ironizza il pentito, rispondendo alla domanda delle difese. Anche lui, per Lo Giudice sarebbe solo un criminale di mezza tacca, con il quale i rapporti erano tutto fuorché idilliaci: «Non abbiamo fatto reati insieme, ma io ne ho fatti a lui. Quando ho saputo che aveva parlato male di mio fratello Luciano, gli ho bruciato il magazzino».

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