Nino Lo Giudice e le tappe per arrivare al "Supremo"
REGGIO CALABRIA È in punta di album fotografico, non di fioretto o di sciabola, che il pm Giuseppe Lombardo ha sfidato il collaboratore Antonino Lo Giudice a dar prova delle conoscenze e dei contatti…

REGGIO CALABRIA È in punta di album fotografico, non di fioretto o di sciabola, che il pm Giuseppe Lombardo ha sfidato il collaboratore Antonino Lo Giudice a dar prova delle conoscenze e dei contatti che asserisce di aver messo a disposizione dell`autorità giudiziaria, nel corso di un`udienza del processo “Meta”. Contrariamente a tanti esami di questo tipo cui lo stesso collaboratore è stato sottoposto nel corso del tempo, dentro non ci sono solo volti e nomi noti e meno noti della galassia delle `ndrine di Reggio città, ma anche il materiale repertato il giorno della cattura di Pasquale Condello e decine e decine di foto, mappe, cartine, tracciati di percorsi gps che danno conto del lavoro certosino svolto dal Ros per arrivare al “Supremo”. Lo stesso “Supremo” che – stando a quanto più volte ha affermato Nino Lo Giudice –, lui stesso avrebbe contribuito a far catturare, dopo averne per lungo tempo gestito la latitanza, a causa dei «comportamenti di Condello e dei suoi familiari, ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il mio arresto del 2007 – ha ribadito oggi il collaboratore –. Io sono stato arrestato da innocente su indicazione di Pasquale Condello, che avrebbe detto a Lombardo di indicare i Lo Giudice come responsabili dell`omicidio Audino. Una tragedia che Condello aveva inscenato per scrollarsi di dosso la responsabilità dell`omicidio ed eliminare i Lo Giudice dal panorama criminale reggino». Ma sul perché il “Supremo” avesse deciso di “giocarsi” una famiglia che – stando a quanto riferisce Lo Giudice – tanto si era spesa per gestirne la latitanza, il pentito non sa rispondere. E questa non è l`unica domanda rimasta inevasa dell`esame del collaboratore, collegato in videoconferenza da sito protetto. Un esame tormentato dai problemi di audio, come dai «non so, non ricordo, non ne sono a conoscenza» di un Nino Lo Giudice, stranamente telegrafico e a tratti in evidente difficoltà, tanto da farsi scappare una mezza imprecazione in una delle pause necessarie per ripristinare il collegamento.
Riconosce la scrittura di Condello ma afferma di non averlo mai visto scrivere se non sul retro di buste chiuse, né di aver mai ricevuto pizzini con liste della spesa come quelli che gli vengono mostrati perché «quando lo gestivamo noi non gli abbiamo mai fatto mancare niente». Sostiene di essere stato in contatto con il nipote del “Supremo”, Andrea Vazzana, e con la rete larga che gestiva la latitanza del superboss, ma non riesce a riconoscere le auto che il Ros ha monitorato e fotografato nel corso delle lunghe indagini con cui gli investigatori hanno stretto il cerchio attorno al “Supremo”.
Nulla sa dire della lunga lista di documenti e ricevute – tanto meno sui beneficiari, molti dei quali siciliani, che sulle ricevute sono indicati – che sono stati ritrovati nell`appartamento di Condello, il giorno della sua cattura. E si salva in calcio d`angolo parlando di trasferte del “Supremo” – «se ne andava per due-tre mesi» – durante il periodo in cui afferma di averlo avuto in gestione quando il pm Lombardo gli mostra una ricevuta d`affitto per l`appartamento di Pellaro risalente al 2005. Cioè quando il superboss – ha affermato il collaboratore in questo come in altri procedimenti – si sarebbe affidato alla lui: «Evidentemente usava quella casa quando per alcuni periodi si allontanava. Io credevo che fosse coperto da Pietro Labate al Gebbione».
Si spazientisce Lo Giudice quando il pm lo incalza con domande con cui cerca di mettere un punto fermo a luoghi, date, circostanze. E spesso non sa rispondere. Non sa dire se Condello e la moglie si siano incontrati altre volte, oltre a quell`occasione in cui lui stesso, accompagnato dalla rispettiva consorte – «perché era giusto in quel modo»
avrebbe accompagnato Maria Morabito al rifugio del latitante. Non riconosce o non è mai stato nelle zone di Catona e Gallico o di Pellaro monitorate e fotografate dai Ros, in cui si muovevano i fiancheggiatori della latitanza del superboss. Ma soprattutto sembra che nonostante gli anni passati gomito a gomito con Pasquale Condello, il “Supremo” sia stato davvero avido di confidenze con quello che – stando a quanto Lo Giudice asserisce – sarebbe stato scelto per diventare il suo rappresentante per le estorsioni in città e alla riunione annuale di Polsi. «Condello mi ha parlato di Polsi, mi ha chiesto di andare nel 2002-2003 ma io non ci sono mai andato perché non c`è stata occasione. Io dovevo andare lì come rappresentante della famiglia Condello, ma non mi disse cosa avrei dovuto dire», ha detto oggi Lo Giudice in aula, ammettendo di non essere mai andato a Polsi e di non essere mai stato invitato ad andarci, ma di aver saputo molto dal padre Peppe che alla tradizionale riunione si era recato più di una volta e «mi disse che si andava lì per decidere tantissime cose». E così come Condello non avrebbe detto al “Nano” cosa avrebbe dovuto dire o fare a Polsi, allo stesso modo sarebbe stato parco di confidenze riguardo alla collaborazione del suo luogotenente Paolo Iannò, o su quella di Nino Fiume, braccio destro e cognato di Peppe De Stefano, che Lo Giudice afferma di conoscere di vista «dagli anni 70». Ovvero quando – gli fa notare il pm – Fiume che è del `64, aveva non più di quindici anni.
Sull`argomento collaboratori, il pentito afferma solo di sapere che Condello si sarebbe messo in moto per chiudere la bocca a Nino Imerti quando quest`ultimo avrebbe iniziato a scrivere ai magistrati per smentire le rivelazioni dei pentiti sul suo conto. «Ne parlò anche con me e mi consegnò una lettera che io ho dato a Andrea Vazzana. Con quella lettera, mi disse Condello, che aveva mandato a dire a Imerti di tapparsi la bocca. Sulla risposta non so nulla, ma so che Imerti smise di scrivere ai magistrati, di parlare, e tutto quanto». Stesso trattamento, il “Supremo” lo avrebbe riservato a Carmelo Palermo, braccio destro di Paolo Iannò.
Ma anche in questo caso Lo Giudice non è in grado di riferire dettagli, così come poco informato sembra essere su quei tre personaggi – Domenico Alvaro, `Ntoni Pelle Gambazza, e un terzo di cui inizialmente non ricorda il nome, ma poi identifica in Giuseppe Antonio Italiano – che a suo dire, dalla fine della guerra in poi, avrebbero avuto un ruolo determinante anche per la `ndrangheta della città. «Qualsiasi cosa succedesse a Reggio Calabria dopo la pace, bisognava dare conto a Pelle, a Cosimo alvaro e un`altra persona che non ricordo. Dovevano essere informati prima». Eppure, sostiene il “Nano”, lui non ha mai avuto a che fare con loro perché «io facevo riferimento a Condello, perché si era preso la responsabilità per me e per la mia famiglia, ed era lui a rapportarsi con queste persone. Ma non so se Condello abbia mai parlato con questi soggetti della cosca Lo Giudice», afferma il collaboratore incalzato dalle domande del pm Lombardo, alle quali Lo Giudice spesso risponde trincerandosi dietro una sequela di «non so, non ricordo, non saprei dire con precisione».
Neanche sulla data o sul periodo in cui avrebbe fornito al brigadiere Maisano indicazioni utili per la cattura del latitante Pasquale Condello, il pentito sa essere preciso. Solo dopo molte domande e una serie di rifermenti incrociati, Lo Giudice afferma che «potrebbe essere stato un mese prima della cattura di Condello, quindi in gennaio». Eppure, proprio il racconto di quella circostanza è l`unico che nel corso della mattinata sia dotato di una certa scioltezza e fluidità. Lo Giudice abbandona lo stile telegrafico per raccontare che «l`indicazione era stata data a Cisterna prima, nel periodo natalizio. Ne sono sicuro al 90%. Il contatto è avvenuto a Roma, direttamente fra Luciano e Cisterna. Mio fratello era andato da Cisterna per avere il nome di una persona di fiducia cui dare indicazioni per la cattura di Condello. Che io sappia, quello era il primo contatto fra Luciano e Cisterna. È andato a parlarci dopo averne parlato con me, sono stato io a mandarlo da Cisterna, perché gli dissi che solo
un magistrato poteva darci indicazioni sulla persona giusta a cui dare informazioni per arrivare a Condello, quindi ha chiamato Cisterna, ha preso appuntamento ed è andato a Roma. Luciano disse che l`unica persona che ci poteva aiutare era lui. Non venne chiesto nulla in cambio di queste informazioni. Cisterna ci indicò Maisano che Luciano già conosceva. Si sono incontrati al bar di Luciano, ma io non ero presente. C`ero però quando Maisano è andato a ringraziare Luciano, ma non ho assistito alla conversazione». Risponde spedito e convinto alle domande del sostituito procuratore Giuseppe Lombardo, il pentito Nino Lo Giudice chiamato a ricostruire la vicenda. Ma la sicurezza e il piglio con cui risponde non durano molto. Si sciolgono in una serie di parole smozzicate e circostanze appena accennate che costringono più volte il pm a chiedere al pentito se sia venuto a conoscenza di certe circostanze dalle lettura dei giornali. È il caso, ad esempio, degli affari che Condello avrebbe fatto con i Libri e Alampi che «riguardano lo smaltimento dei rifiuti. In quel periodo Condello parlava del progetto di entrare nelle società miste. Aveva detto ad Andrea Vazzana di recarsi al Cedir a parlare con Pasquale Morisani per l`affare dei rifiuti». Circostanze già emerse in altre inchieste e trattate in dettaglio dalla stampa locale e nazionale, tanto da far sorgere dei dubbi al pm cui il pentito risponde, tagliando corto: «Sono fatti che io conosco dalla voce di Pasquale Condello, non mi ha condizionato la lettura dei giornali. Non conosco Matteo Alampi, ma c`era un Alampi di cui mi parlava Condello». Affermazioni che già dalla prossima udienza, a partire dal confronto con le oltre trecento fotografie rimaste, il pentito sarà chiamato a dimostrare.