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"Nuovo potere", valanga di assoluzioni in appello

REGGIO CALABRIA Valanga di assoluzioni e riduzioni di pena per i 27 imputati del processo di secondo grado “Nuovo potere”, il procedimento scaturito dall’omonima operazione contro la `ndrangheta di R…

Pubblicato il: 09/01/2013 – 16:11
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"Nuovo potere", valanga di assoluzioni in appello

REGGIO CALABRIA Valanga di assoluzioni e riduzioni di pena per i 27 imputati del processo di secondo grado “Nuovo potere”, il procedimento scaturito dall’omonima operazione contro la `ndrangheta di Roghudi e Roccaforte del Greco, locali considerati cerniera fra la città e il mandamento jonico. Le pesanti condanne comminate in primo grado sono state cancellate da 13 assoluzioni e numerose rideterminazioni e sconti di pena, decisi dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, presieduta dal giudice Rosalia Gaeta, con a latere Adriana Costabile e Angelina Bandiera.
La sentenza, emessa oggi dai tre giudici, ribalta anche il giudizio emesso per uno dei principali imputati, Vincenzo Gullì, condannato in primo grado a 12 anni per tentato omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso e assolto con formula piena. Assieme a lui, sono liberi da ogni addebito Domenico Attinà, condannato in primo grado a 7 anni, Massimo Idà, in prima istanza condannato a 6 anni e 8 mesi, come Annunziato Iaria e  Carmelo Rocco Iaria, Proscenio Arnaldo, tutti assolti per non aver commesso il fatto. I giudici della Corte d’appello cancellano le condanne inflitte in primo grado a Domenico Pangallo, condannato in prima istanza 7 anni, Bruno Pizzi (3 anni e 4 mesi), Arnaldo, Filippo Stelitano (7 anni), Natale Tripodi (6 anni e 8 mesi), Francesco Romeo (3 anni e 4 mesi), Vincenzo P. Romeo (6 anni e 8 mesi). Un sostanziale sconto di pena arriva anche per Carmelo Iaria condannato a 8 anni e due mesi di reclusione (12 anni e 6 mesi in primo grado), Agostino Palamara, che dovrà scontare 4 anni e 8 mesi rispetto ai 6 anni e 8 mesi inflitto in primo grado e Giovanni Pangallo, che passa da 10 anni di reclusione a 6 anni e 8 mesi e Francesco Pangallo, che passa dai 13 anni inflitti in prima istanza, ai 9 comminati in appello. Riduzioni di pena sono arrivate anche per Pietro Verno, che dovrà scontare 6 anni e 8 mesi al posto dei 10 inflitti in primo grado e Vittorio Verno, la cui condanna è passata da 7 anni e 6 mesi a 4 anni e 8 mesi. Significativa la riduzione per Teodoro Spanò, condannato in appello a 2 anni, dopo i 9 rimediati in prima istanza. Per Andrea Pasquale Mesiano (2 anni e 8 mesi in primo grado), la Corte ha fissato una condanna a 8 mesi più 400 euro di multa, un anno ad Antonino Pannuti (3 anni e 4 mesi in primo grado), mentre Andrea Mesiano passa da un’assoluzione a una condanna a 1 anno più 1400 euro di multa, con pena sospesa.  
Si aprono le porte del carcere per Francesco Pangallo, condannato in primo 4 anni e 8 mesi, per il quale la Corte d’appello ha stabilito una condanna a 1 anno e 600 euro di multa, con pena sospesa, ordinandone l’immediata scarcerazione se non detenuto per altra causa.
Rimangono confermate le condanne solo per Mario Attinà (2 anni e 8 mesi), Massimo A. Gabello (1 anno e 4 mesi),  il collaboratore Carlo Mesiano (1 anno e 8 mesi), Domenico Proscenio (7 anni e 6 mesi) e Girolamo Romeo (3 anni e 4 mesi). Revocata anche l’interdizione dai pubblici uffici per Francesco Pangallo (classe 74), Andrea Pasquale Mesiano, Antonio Pannuti e Teodoro Spanò, mentre viene ridotta a soli cinque anni per Agostino Palamara e Vittorio Verno.
Scattata il 13 gennaio 2010, l`inchiesta diretta dal sostituto della Dda di Reggio Calabria Antonio De Bernardo, aveva permesso di fare luce sugli assetti delle cosche Zavettieri e Pangallo-Maesano-Favasuli all`indomani della sanguinosa faida che le ha viste contrapporsi agli inizi degli anni 90. A dare il nome all’inchiesta, una conversazione captata nel corso delle indagini, durante la quale uno degli imputati aveva affermato: «Il nuovo potere non ha famiglia». Espressione che sintetizza in modo esaustivo l`ipotesi investigativa che ha ispirato l’inchiesta, secondo la quale dopo la faida dell`area grecanica, le due cosche un tempo nemiche avrebbero di fatto dato vita a un`unica organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti tra Roccaforte del Greco e la zona di Verbania, alla gestione illecita degli appalti pubblici sul comune di Roccaforte (vinti sempre dalle stesse due imprese), alle estorsioni e al traffico delle armi tra il paesino del Basso Jonio e la Svizzera dove alcuni indagati si erano trasferiti per gestire le attività illecite della cosca. A rafforzare il castello accusatorio, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carlo Mesiano, anche lui imputato nel processo, sul condizionamento delle attività del Comune da parte delle due consorterie. Stritolato dall`influenza delle cosche un tempo nemiche, il Comune è stato sciolto per ben due volte, prima nel 96, quindi nel 2003, perché – stando alle ipotesi investigative – le cosche non solo avevano il controllo totale degli appalti pubblici, spartiti fra due ditte riconducibili ai clan, ma erano in grado anche di decidere a tavolino l`elezione di loro uomini di fiducia, incluso il sindaco.

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