«Alle elezioni vota Flesca e Sarra»
REGGIO CALABRIA «Il grado di padrino non mi dava nessun potere. Ma c’è una `ndrangheta che comanda – i De Stefano, i Tegano, i Condello – a cui interessano i soldi, poi c’è un’altra ‘ndrangheta che s…

REGGIO CALABRIA «Il grado di padrino non mi dava nessun potere. Ma c’è una `ndrangheta che comanda – i De Stefano, i Tegano, i Condello – a cui interessano i soldi, poi c’è un’altra ‘ndrangheta che si interessa di altre cose, di gradi. Quelli li lasciavano a Ciccio Gattuso e a Domenico Oppedisano, che non avevano niente da fare». È al termine dell’esibizione delle ultime cento foto del materiale repertato dopo il blitz nell’ultimo covo di Pasquale Condello, commentate da altrettanti «non so, non ricordo», che Nino Lo Giudice inizia finalmente a parlare. Sollecitato dalle domande del pm Giuseppe Lombardo che oggi – nell`ambito del processo “Meta” – ha concluso il suo esame del collaboratore, Lo Giudice spiega che la `ndrangheta pur nella sua unitarietà al suo interno ha diversi livelli. C’è una `ndrangheta di sostanza e una di apparenza. C’è una `ndrangheta che gestisce soldi, affari e appalti e le amicizie che tali rapporti di affari presuppongono, e un’altra ancora scandita da cariche e rituali. Affermazioni che sposano la tesi di fondo dell’inchiesta “Meta” e che già altri collaboratori – non ultimo il cugino di Lo Giudice, Consolato Villani che solo un mese fa ha parlato di «una `ndrangheta cattiva e un`altra che esiste se il potere cattivo la fa dominare» – avevano confermato con le proprie dichiarazioni. «La `ndrangheta che comanda investe denari, compra macchine, costruisce palazzi, traffica droga a Reggio e altrove – a spiegare Lo Giudice –. Si appoggia a industriali, gente pulita come Lionetti (imprenditore residente a Cesena ritenuto testa di legno e tesoriere di Condello, ndr), cerca di sfruttare situazioni in cui questi soldi sono poco visibili. Sono loro gli invisibili».
Il capo crimine Pasquale Condello
È un mondo al quale Nino Lo Giudice non ha accesso, di cui arriva a sapere qualcosa dalle confidenze che si sarebbe lasciato scappare Pasquale Condello, il “capo crimine di Reggio”. Una carica che il “Supremo” avrebbe ereditato da Ciccio Canale, U Gnuri dopo il cambiamento di regole ed equilibri dettato dalla guerra di `ndrangheta. Confidenza questa che al “Nano” sarebbe stata rivelata da Giovanni Chilà, ma che con il “Supremo” non avrebbe mai approfondito. «Non ne ho mai parlato, né ho mai chiesto direttamente a Condello cosa significasse essere capo crimine, perché avrei messo in difficoltà Chilà».
E sono tanti, quasi troppi, gli argomenti che Lo Giudice e Condello non hanno toccato o approfondito. Il collaboratore non sa quali affari avesse il “Supremo”, perché conservasse gli inserti del Sole 24 Ore su Finanza e Mercati, o libri sul medesimo argomento. Tanto meno, il “Nano” è in grado di spiegare per quale motivo Condello conservasse copie ordinate degli articoli di quotidiani locali, come la Gazzetta o Calabria Ora, dai titoli significativi come “L’antistato è nello Stato”, ma che per il collaboratore non rimandano a discussione o approfondimento alcuno. Solo a proposito di alcune copie de Il Dibattito, il controverso mensile diretto da Francesco Gangemi, il “Nano” è in grado di dare qualche particolare in più. «Condello era un “simpatizzante” della rivista perché a suo parere diceva cose vere». Cose che su paziente e reiterata istanza del pm Lo Giudice chiarirà essere «cose sporche sulla magistratura e sulla politica ma che per lui erano vere». Di più, il “Nano” non sa dire, anche su questo tema il “Supremo” non è entrato in dettaglio.
L’incontro con Morisani per la Fata Morgana, «alle elezioni vota Flesca e Sarra»
E sono sempre confidenze spot, senza alcun approfondimento, quelle che riguardano la Fata Morgana, un affare al quale lo stesso Condello sarebbe stato interessato – racconta il collaboratore – tanto da mandare Andrea Vazzana al Cedir ad un incontro con Pasquale Morisani, futuro assessore ai Lavori pubblici del Comune di Reggio. «Vazzana incontrò Morisani per dire che in quell`affare c`era una ditta che interessava a Pasquale Condello, ma sinceramente non so come sia andata a finire». Ma anche sul mondo politico, Condello sarebbe stato parco di confidenze, che non sarebbero andate oltre i suggerimenti elettorali per Manlio Flesca e Sarra, o le dichiarazioni da simpatizzante di Giuseppe Scopelliti. Accenni, indicazioni, informazioni, con Lo Giudice – stando al racconto del collaboratore – Condello sembra non essersi mai sbilanciato, non aver mai approfondito. Eppure lo scenario che quelle superficiali confidenze riportate dal collaboratore lasciano intravedere è dei più inquietanti e collima con quelle dichiarazioni che già in passato, altri collaboratori, hanno messo a verbale. Dichiarazioni che vogliono un direttorio, un secondo livello della `ndrangheta cittadina, con il potere, la forza e i contatti per relazionarsi anche con gli ambienti che con le `ndrine non dovrebbero avere nulla a che fare.
Il secondo livello
Un secondo livello cui Lo Giudice non ha accesso, ma che ha imparato a conoscere – racconta – grazie alle confidenze di suo fratello Luciano, Giovanni Chilà o Carmelo Murina. È da quest’ultimo ad esempio che ha saputo che il boss Cosimo Alvaro aveva messo radici in città, allungando rapidamente le mani su locali del centro come il Pasha e il Calajunco e la clinica Villa Speranza, «di cui il sindaco Palermo era prestanome». «Ma Alvaro poteva farlo, era conosciuto ai Tegano, è molto amico dei De Stefano, di Giuseppe e dell’avvocato. Ne parlavano tutti, lo diceva anche Pasquale Condello, negli anni in cui lo gestivo». Un’amicizia dovuta forse al ruolo di mediatore avuto dal padre, don Mico Alvaro, nelle trattative per mettere pace a Reggio all’indomani della guerra di `ndrangheta. Sarebbe stato invece dallo stesso Condello, che Lo Giudice avrebbe saputo di quell’incontro che il “Supremo” aveva in programma con il giovane rampollo di casa De Stefano, Giuseppe «per sistemare questioni relative a soldi, estorsioni e altre cose», dice il “Nano”, ma che sarebbe poi saltato per l’arresto del figlio di don Paolino. Persona con cui Lo Giudice sostiene di non aver mai avuto a che fare, ma del quale conosce il ruolo e il peso nella `ndrangheta cittadina. Sa ad esempio che sarebbero stati uomini della cosca De Stefano – «uno dei due si chiamava Nava» – a bloccare i lavori che Vincenzo Sarra aveva avviato nei presi dell’hotel Palace, in pieno centro città. Ma allo stesso modo, Lo Giudice dimostra di conoscere i rapporti che legavano Peppe De Stefano a un’altra stella nascente nella galassia delle `ndrine, quel Mario Audino la cui folgorante ascesa sarà interrotta definitivamente da un attentato alla fine del 2003. «Mario Audino – dice Lo Giudice, sollecitato sul punto dalle domande dell’avvocato Panella – era vicino ai Tegano, ma era come un fratello per Peppe De Stefano. Per i Tegano questa vicinanza era un tradimento e lo hanno ucciso».
Frammenti di un mondo che Lo Giudice sembra aver guardato a sprazzi dal buco della serratura, ma che nonostante questo lasciano intendere l’inquietante vastità di quel secondo livello che grava su Reggio città. Un mondo ancora tutto da scoprire.