Moio svela i segreti della cosca Caridi-Borghetto-Zindato
REGGIO CALABRIA Detenuti nervosi dentro le gabbie, avvocati quasi superiori al numero di sedie, la polizia penitenziaria vigile e numerosa più del solito, i parenti che in massa dalle prime ore della…

REGGIO CALABRIA Detenuti nervosi dentro le gabbie, avvocati quasi superiori al numero di sedie, la polizia penitenziaria vigile e numerosa più del solito, i parenti che in massa dalle prime ore della mattina, i segnali sono inequivocabili. L’udienza odierna del processo “Alta tensione” si preannuncia tesa e difficile. Nell’ottobre 2010, l’omonima operazione aveva svelato che a comandare nei quartieri Modena, San Giorgio e Ciccarello era il gruppo formato dalle famiglie Borghetto-Zindato-Caridi, un consorzio criminale aderente al cartello dei Libri di Cannavò e imporre il proprio dominio e il proprio potere su uomini, affari e appalti. Accuse che oggi i due pentiti Umberto Munaò e Roberto Moio sono stati chiamati a corroborare con i ricordi della loro storia criminale. Sono loro – incalzati dalle domande del pm Stefano Musolino – a descrivere in dettaglio area di attività, modalità e metodi di controllo del territorio, peso criminale e affari del clan Libri-Caridi- Borghetto-Zindato. «Presidente ho trent’anni di `ndrangheta sulle spalle, di cui venti fidanzato o sposato con i Tegano», dice Roberto Moio alla presidente del Tribunale Olga Tarsia, per spiegare l’origine delle sue conoscenze e informazioni. Un patrimonio accumulato fin dagli anni della guerra di `ndrangheta quando «sparavamo insieme».
Ed è con sicurezza che Moio, nipote acquisito del boss Giovanni Tegano, identifica i fratelli Caridi come vertice dell’omonima cosca egemone nei territori di Modena, Ciccarello, fino al semicentrale quartiere di Sant’Anna, ma che arriva ad estendersi fino a Cannavò e San Giorgio, territori tradizionali dei Libri, ormai federati agli altri tre clan. «Al vertice del clan Caridi-Borghetto-Zindato c’era Nino Caridi, ma dopo il suo arresto il controllo è passato a Bruno». Una successione che – a detta del collaboratore – non ha più bisogno di essere formalizzata con una carica «quando viene a mancare un fratello, viene sostituto da un altro fratello, in questo caso Bruno». Ma chiunque fosse il capo a Modena, Ciccarello e San Giorgio, il cartello dei Caridi-Borghetto-Zindato ha continuato a comandare. In zona, anche le imprese edili sono espressioni dei clan. «Ci sono imprese da loro controllate che lavorano in questa zona, ma non è una novità. Funziona così in tutta la città». Sono loro ad avere il monopolio dei lavori o in alternativa a imporre le forniture. E i grandi appalti diventano anche terreno di convivenza e di accordo con il clan Rosmini, con il quale, dalla fine della guerra di `ndrangheta, il cartello Libri-Caridi-Borghetto-Zindato, divide i quartieri sud est della città. Sarà Umberto Munaò, killer della cosca Rosmini, a spiegare che in caso di appalti come quello dell’hotel Apan «i lavori venivano divisi equamente fra le tre famiglie».
Un modus operandi imposto dalla pace che aveva messo fine alla sanguinosa guerra di `ndrangheta e che le famiglie hanno sempre rispettato. E sono molti i personaggi del clan Caridi-Borghetto-Zindato che Moio identifica come protagonisti di quella stagione. C’è Gino Borghetto, fratello di Cosimo. «Durante la guerra ha compiuto molti omicidi», dirà di lui il collaboratore, sottolineando che dopo la detenzione sarebbe diventato un «personaggio di spessore del clan». C’è Paolo Latella, storico affiliato del clan, con il quale – dice Moio – «anche dopo la guerra abbiamo continuato a vederci». E sono tanti i personaggi del clan che il nipote del superboss Tegano è in grado di riconoscere, incluse le nuove leve come quel Natale Iannì che «spesso andava a cercare mio cugino Paolo Schimizzi perché voleva entrare nei supermercati. Da ragazzi che giocavano con lui a calcio, so che lo chiedeva anche ad altre persone. Lo vedevo spesso con Gino Borghetto, ma in generale si accompagnava con gente mafiosa».
Tutte informazioni di cui Moio, nonostante fosse di un altro clan, afferma di essere a conoscenza perché «se qualcuno si allontanava, c’è un’espressione particolare, si dice “non ne vuole sapere più niente”, e si passa subito la novità». È dunque un sistema blindato quello delle cosche reggine, ma dove le informazioni circolano. E in fretta. Un segreto però Moio era riuscito a tenerlo: la sua intenzione di pentirsi già dal 2004 e l’avvio di una “collaborazione” con le forze dell’ordine a cui cercherà di regalare non solo l’arresto del super boss Giovanni Tegano, all’epoca latitante, ma su loro stessa sollecitazione anche – ha riferito oggi in aula – l’autore dell’attentato contro l’allora sindaco Scopelliti».