Processo "Meta", le verità del Nano
REGGIO CALABRIA Che il rapporto fra Antonino Lo Giudice e il cugino, anche lui pentito, Consolato Villani, non fosse idilliaco era già stato messo in chiaro in numerose udienze e in diversi procedime…

REGGIO CALABRIA Che il rapporto fra Antonino Lo Giudice e il cugino, anche lui pentito, Consolato Villani, non fosse idilliaco era già stato messo in chiaro in numerose udienze e in diversi procedimenti. Ed anche oggi, il Nano non ha avuto remora alcuna a scagliarsi contro Villani – grazie alle cui dichiarazioni è stato arrestato – che a detta di Lo Giudice «è un personaggio fantastico, fa le cose a stile suo, rovinerà sia innocenti, sia colpevoli». E ancora «è un infelice della vita», «è un tragediatore, si sta vendicando di tutte le persone che gli hanno fatto del bene e del male». Sono bordate pesanti quelle che Nino Lo Giudice lancia all`indirizzo del cugino collaboratore, nonostante alla fine debba ammettere «Villani ha detto cose vere che io stesso ho confermato». Cose che il Nano avrebbe appreso nel corso del tempo tanto dall`occ che l`ha spedito dietro le sbarre – dove parte delle dichiarazioni del collaboratore sono riportate – tanto dalle contestazioni degli avvocati che nel corso delle tante udienze di cui è stato protagonista, si sono lasciati sfuggire brandelli delle dichiarazioni del collaboratore. Ma soprattutto – ha ammesso Lo Giudice – fra lui e l`ormai detestato cugino c`era – almeno un tempo – «un rapporto confidenziale» che rende plausibili le informazioni che Villani afferma di aver avuto da Lo Giudice e che ha messo a verbale. Prima fra tutte, quella sulla stagione di bombe cha ha terrorizzato Reggio città. «Potevo difendermi da ogni accusa, era la mia parola contro quella di Villani, chi altro mi doveva accusare? Io sugli attentati non sto coprendo nessuno».
La cattura di Condello. Anche Panvino nella rete dei fratelli Lo Giudice? Ma questo non è che uno dei tanti tasselli che troveranno un ordine nell`ultima deposizione del Nano al processo Meta. Incalzato dagli avvocati e dal pm Giuseppe Lombardo, Nino Lo Giudice è tornato su molti degli argomenti che nel corso delle lunghe udienze ha toccato. Primo fra tutti, la cattura di Pasquale Condello, nella quale il collaboratore afferma da tempo di aver avuto un ruolo fondamentale, nonostante nelle scorse udienze non solo non sia stato in grado di riconoscere molti degli effetti personali sequestrati al Supremo il giorno della sua cattura, ma abbia anche liquidato con non poca perplessità tracciati, foto e elementi collezionati dal Ros in modo certosino nel corso delle lunghe indagini sul Superboss.
Stando a quanto più volte raccontato e messo agli atti e a verbale dal Nano, al Supremo inquirenti e investigatori ci sarebbero arrivati invece, proprio grazie alle soffiate che lui e il fratello Luciano avrebbero fatto arrivare all`orecchio del brigadiere Francesco Maisano, su suggerimento dell`allora numero due della Dna Alberto Cisterna. Ma a bussare alla porta dei Lo Giudice in cerca di informazioni sul Superboss, sarebbero stati anche alcuni alti funzionari della Questura: «I poliziotti Renato Panvino e Salvatore Arena – dice Lo Giudice – volevano indicazioni da Luciano per catturare Condello. Andarono nel suo ufficio e lo portarono in Questura, dove lo minacciarono. Ci fu un alterco, ma Luciano ne parlò con il capitano Saverio Spadaro Tracuzzi che porterà Panvino a casa di Luciano per chiedergli scusa del comportamento». Ma il funzionario della Questura nei ricordi del Nano è legato anche ad un altro episodio: lo avrebbe visto «a casa di Carmelo Murina, che per molti era un suo confidente». Questa però non sarebbe stata che l`ultima fase di un progetto che i fratelli Lo Giudice portavano avanti da tempo «in passato, anche con il mio assenso, Luciano insieme a Spadaro Tracuzzi, insieme al Ros, ha fatto molti blitz, ma purtroppo non sono andati a buon fine». Ad alimentare l`astio del Nano nei confronti Condello, del quale per lungo tempo Lo Giudice afferma di aver gestito la latitanza e che al Nano avrebbe addirittura proposto di rappresentarlo in città, «una lunga serie di episodi, di provocazioni» che a partire dal 2005 avrebbero fatto saltare i nervi al pentito. «Condello era invidioso di mio fratello Luciano, una volta abbiamo trovato uno scooter pieno di armi di fronte alla cornetteria», ricorda il collaboratore lasciando intendere che sarebbe stato proprio il Supremo a dare ordine perché fosse piazzato là.
Nuovi assetti e scenari di guerra E gli ordini di Condello si eseguivano e basta. Il Supremo – ha chiarito ancora una volta il Nano, che sembra aver perso le iniziali ritrosie nel tarare il peso del Superboss in città – come capocrimine poteva permettersi questo e altro. Era il perno centrale di quelle tre famiglie – i De Stefano, i Tegano e i Condello – che dalla fine della seconda di ndrangheta stavano un gradino sopra le altre e si spartivano serenamente la città. Eppure, racconta il Nano, anche il regime di concordia seguito alla guerra da settecento morti ammazzati che ha avuto come teatro Reggio città, ha rischiato di rompersi attorno al 99-2000. «Si parlava di possibile guerra, lo dicevano tutti a Reggio. le nuove leve, i rampolli dei De Stefano stavano prendendo piede. Lo diceva Pasquale Condello, lo diceva Carmelo Murina, lo diceva Giovanni Chilà». Un`affermazione che fa il paio con quei cenni che il Nano ha fatto al proposito di Peppe De Stefano di «estendersi fino a Lazzaro» o ai rapporti strettissimi fra il figlio di don Paolino De Stefano e Mario Audino, boss emergente di San Giovannello, la cui ascesa è stata stroncata da un attentato che in passato Lo Giudice stesso – ma anche altri collaboratori – hanno attribuito ai Tegano.
Di più, il Nano non sa dire. I suoi con i De Stefano – racconta – sono sempre stati rapporti mediati attraverso il clan di Pasquale Condello. «Mio padre aveva un rapporto con il padre di Peppe De Stefano. Io non ho mai avuto contatti diretti con Peppe o con l`avvocato Giorgio. Non sono in grado di fornire dettagli perché ci interfacciavamo tramite i Condello», spiega Lo Giudice, quasi a rimarcare ancora una volta la differenza fra le famiglie come la sua «dove i gradi, le cariche, sono una questione di rispetto ma non ci sono nè soldi di mezzo nè niente» e famiglie che «potrebbero anche aver abbandonato l`uso di cariche e gradi, perché per loro non serve».