Scopelliti: chiedo scusa alla città per l`errore della Fallara
REGGIO CALABRIA «Chiedo scusa alla città per questo errore della Fallara, ma non sono responsabilità che ci riguardino direttamente»: anche di fronte alle telecamere di Presa diretta, che per settima…

REGGIO CALABRIA «Chiedo scusa alla città per questo errore della Fallara, ma non sono responsabilità che ci riguardino direttamente»: anche di fronte alle telecamere di Presa diretta, che per settimane hanno documentato impietose il grado di declino di una città dove tutto è emergenza, l’ex sindaco e attuale governatore, Giuseppe Scopelliti, non cede di un passo. Il modello Reggio – afferma, intervistato da Riccardo Iacona – è stata «un’esperienza di governo straordinaria ed è servita per recuperare il rapporto con la città», mentre la finanza creativa che ha lasciato in eredità al Comune un debito da 160 milioni di euro approssimati per difetto secondo il ministero delle Finanze e 118 milioni per la giunta Arena, è da imputare solo ed esclusivamente alla dirigente morta suicida.
Ha il pudore di non parlare di modello – come più volte ha già fatto – l’ex sindaco Scopelliti, ma non rinuncia rivendicare la sua assoluta estraneità agli artifici contabili che per anni hanno gonfiato a dismisura i bilanci, permettendo alla sua giunta di spendere e spandere, contrarre mutui, finanziare eventi, distribuire piccole e grandi prebende che – forse, ma questo dubbio non sembra sfiorarlo – sono andate ad alimentare quel «70% di consensi» con cui è stato rieletto alla guida della città e che più volte rivendica di fronte alle telecamere. Sono gli anni – ricorda l’ex consigliere comunale Pd Demetrio Naccari Carlizzi – di «drammatica e sistematica violazione delle più elementari regole di redazione del bilancio del Comune». Ma Scopelliti – afferma davanti ai microfoni – nulla sapeva, nulla sospettava. «Chi ha competenze gestionali sono i dirigenti, chi ha competenze di indirizzo è la politica. Nel 2008, 2009, 2010, se avessimo saputo del problema, uno che ha un governo amico, non si accoda a Catania, a Roma nel chiedere aiuto?», ribatte il governatore alle domande di Iacona, che non rinuncia a incalzare. «Nessuno ha mai denunciato in maniera chiara episodi specifici – si giustifica ancora l’ex sindaco – un amministratore non ha motivo di trovarsi davanti a un buco di bilancio, uno che vince col 70% non ha bisogno di dimostrare niente a nessuno». Quello che si trova di fronte il giornalista di Rai3 è un muro di gomma: per Scopelliti, la Babele contabile che ispettori e periti hanno scoperto frugando fra gli uffici di Palazzo San Giorgio è solo frutto del lavoro della Fallara. Del resto, commenta il governatore «è un artifizio che mettono in campo tutti i dirigenti per gonfiare i bilanci. I dirigenti in tutta Italia lo fanno scientificamente», mettendo un punto alle domande di Iacona con un’affermazione lapidaria: «Purtroppo sì, ha sbagliato solo la Fallara».
Ma questo a deciderlo sarà un processo che vede proprio Scopelliti sul banco degli imputati e che le telecamere di Presa diretta – ha promesso il giornalista in diretta tv – non rinunceranno a seguire. Rimane però il mistero di dove siano andati a finire i soldi delle milionarie autoliquidazioni con cui l’ex dirigente del settore Bilancio si sarebbe gratificata e che sui suoi conti correnti non risultano. E tanto meno tra le sue spese. Anche la guardia di finanza che da tempo le cerca, non ne ha trovata traccia alcuna. Un mistero di cui forse il fratello Paolo ha una delle chiavi, che non è disposto però a rendere pubblica prima della fine del processo «per non esporre ulteriormente la sua famiglia».
A parlare, nel frattempo, è la città stessa. Che non ha bisogno di aggettivo alcuno per essere fotografata nel suo irrimediabile declino. E se lo scioglimento per contiguità mafiose, viene liquidato dal governatore con l’ormai consueto refrain del «tragico epilogo di un accanimento e di un sistema perverso» che a detta di Scopelliti ha visto e vede stampa e opposizione schierati contro la sua persona, non c’è giustificazione alcuna che possa cancellare le fotografie impietose della città che le telecamere di Presa diretta hanno senza troppo sforzo raccolto. Ci sono i cantieri fermi di grandi opere come il Palazzo di Giustizia, il Castello Aragonese o il lungomare di Gallico, bloccati dai vincitori dei rispettivi appalti perché quei lavori non sono stati mai pagati. Ci sono i lavoratori di quelle stesse opere che da mesi reclamano lo stipendio e ogni giorno che passa temono sempre di più di finire come quei 2000 addetti del settore – dice il segretario provinciale degli edili della Filca-Cisl, Antonino Botta – che hanno perso il lavoro perché «l’80% delle opere del Decreto Reggio sono ferme». Ci sono i depuratori o meglio quelli che tali dovrebbero essere, ma che con l’impietosa immagine di fiumi di acqua sudicia non fanno altro che irridere la promessa elettorale di “Reggio città del turismo” con cui Scopelliti e il centrodestra hanno per anni infarcito la propria propaganda. «Ecco la fogna, ecco lo scandalo di Reggio», commenta Iacona mentre la telecamera inquadra la fogna che a dieci metri dal lido comunale scarica direttamente a mare. E il perché di questa situazione è lo stesso Carlo Gatto, responsabile amministrativo di Acquereggine, la società che in città si occupa della depurazione, a spiegarlo: «Il Comune ci deve 15 milioni di euro. Negli ultimi due mesi abbiamo scritto lettere su lettere. Non voglio dire che abbiamo difficoltà a comprare in bullone, ma poco ci manca». E soldi – tanti – mancano anche nelle casse della Leonia e della Multiservizi, le partecipate del Comune sciolte per mafia e i cui lavoratori per giorni hanno incrociato le braccia per reclamare i mesi di stipendio arretrato.
Fotografie impietose di una città allo sbando. Ma altrettanto impietosa è l’istantanea del Pdl reggino, stretto a pugno attorno alla dirigente quando lo scandalo esplode, compatto e commosso in chiesa nel giorno del suo funerale, ma che progressivamente ha preso le distanze da quella che ne era stata una delle donne chiave. «La Fallara era vicinissima a Scopelliti, erano amici d’infanzia e l’ha seguito lungo tutta la sua carriera – spiega Giuseppe Baldessarro, cronista del Quotidiano della Calabria che ha fatto da guida a Iacona nei suoi giorni reggini –. Il giorno dei suoi funerali c’era una folla oceanica, avevano addirittura annunciato di voler fare una fondazione in sua memoria. Un anno dopo, alla messa per l’anniversario non era presente nessuno se non la cerchia familiare». «Non si può scaricare la responsabilità di aver creato un buco di bilancio superiore all’intera annualità su una persona che è morta e non si può più difendere», dice Naccari Carlizzi. Ma è lo stesso Scopelliti a farlo, prima in sede di interrogatorio, poi sempre più spesso, pubblicamente. In ultimo, davanti alle telecamere di Iacona. Ennesima testimonianza del degrado economico, politico, sociale, morale della città.