La forza di un imprenditore nella terra dell`omertà
REGGIO CALABRIA «Travagliato e pesantemente condizionato dal timore di ritorsioni da parte dei suoi aguzzini». Il procuratore aggiunto Nicola Gratteri e il sostituto Antonio De Bernardo definiscono c…

REGGIO CALABRIA «Travagliato e pesantemente condizionato dal timore di ritorsioni da parte dei suoi aguzzini».
Il procuratore aggiunto Nicola Gratteri e il sostituto Antonio De Bernardo definiscono così il percorso dell`imprenditore di Sant’Ilario dello Jonio (il suo nome al momento non compare per motivi di sicurezza, ndr) che ha avuto il coraggio di denunciare il boss Giuseppe Belcastro e gli uomini della sua cosca.
Il provvedimento di fermo ricostruisce questo percorso e riporta i verbali redatti dall`imprenditore vessato dalla `ndrangheta rispondendo alle domande della squadra mobile e dei magistrati che hanno coordinato l`inchiesta “Dogville”. Si fa forza e nella terra dell`omertà in cui tutti, nessuno escluso, pagano in silenzio, fa nomi e cognomi della `ndrangheta della Locride.
«Non ho mai denunciato per paura – aveva riferito la vittima –. Da tempo sono vittima di vari episodi estorsivi ad opera di soggetti legati alla ‘ndrangheta; io sto pagando soldi a questi soggetti, però adesso non ce la faccio più perché sono di sani principi e non tollero queste cose. Mi riferisco all’estorsione ad opera di Belcastro Giuseppe, detto Pepè, di Sant’Ilario, quello che è ritenuto il capo della ‘ndrangheta locale; quello che materialmente riscuote i soldi è Musolino Domenico, detto Mimmo, il carrozziere di Sant’Ilario dello Ionio, padre di Rocco e di Leonardo. Tutto è cominciato poco dopo la scarcerazione di Belcastro, quando questi si presentò insieme al Musolino dicendo di avere dei problemi economici e che aveva bisogno di aiuto, in pratica mi chiese dei soldi; io acconsentii e il giorno seguente gli consegnai due assegni da 2500 euro cadauno senza l’indicazione del beneficiario; loro li presero ma il giorno dopo li riportarono a me chiedendomi di sostituirli con sei assegni da 900 euro cadauno, poiché sarebbe stato più facile riscuoterli».
«Prima di questo episodio – ha aggiunto sempre l`imprenditore agli investigatori -, la moglie di Belcastro venne per chiedermi un lavoro, lasciando sottintendere che fosse fittizio, cioè un modo per sostenere la sua famiglia; io gli risposi di si che poteva venire a fare le pulizie ma poco tempo dopo mi disse che preferiva che, al posto suo, assumessi il figlio, Antonio Galizia, e così feci. Ci sono stati alcuni mesi per i quali io gli corrispondevo uno stipendio di 500 euro; di fatto lui non veniva quasi mai al lavoro, infatti, ad un certo punto, decisi di licenziarlo e di non pagarlo più. Poco dopo questa decisione, si presentò Mimmo Musolino e mi accompagnò presso la casa di Belcastro, il quale mi disse che per riparare avrei dovuto consegnargli la somma che davo al figlio a far data dell’apertura (dell`impresa, ndr), cioè dal 2001, e quindi 60.000 euro, in caso contrario disse che mi avrebbe sparato. Vista la cifra enorme, anche lui capiva che non ero in grado di darglieli e quindi lo convinsi per un importo inferiore, mille euro al mese. I soldi li consegno in contanti a Mimmo Musolino, solitamente vado alla carrozzeria il giorno venti di ogni mese; quando non riesco a pagare e ritardo la consegna, Musolino mi minaccia dicendo che mi spara».