Quella riunione annuale a Polsi
REGGIO CALABRIA «Esiste un locale provvisorio che ogni anno si forma a Polsi in occasione della tradizionale festa. All`interno sono rappresentati i tre mandamenti: la Piana, la città e la Jonica». N…

REGGIO CALABRIA «Esiste un locale provvisorio che ogni anno si forma a Polsi in occasione della tradizionale festa. All`interno sono rappresentati i tre mandamenti: la Piana, la città e la Jonica». Non è durato molto oggi l`esame del collaboratore di giustizia Paolo Iannò, chiamato a testimoniare al processo “Meta”. A poco meno di un`ora dall`inizio, l`udienza è stata rinviata per problemi del collegio, ma tanto è bastato perché il pentito – con tutta l`autorità che deriva dall`aver scritto di proprio pugno parte importante della storia della `ndrangheta reggina – mettesse in chiaro che lui è un uomo che sa e ha vissuto in prima persona le vicende di cui parla. Prima fra tutte, la riunione di Polsi, appuntamento tradizionale per la `ndrangheta dei tre mandamenti, tanto importante da meritare la formazione di un locale provvisorio. O almeno, tale era stato fino al 97-98, quando «abbiamo iniziato a abbandonare Polsi perchè ci siamo accorti che c`erano microspie». Prima di allora, la preparazione della riunione era un affare molto serio per tutti i clan, tale da meritare consultazioni e mediazioni. «C`era un passaparola fra le famiglie più importanti di Reggio per scegliere il rappresentante, ogni anno si cercava di variare la composizione del locale provvisorio». Un meccanismo che Iannò conosce per aver mandato lui stesso – almeno in due occasioni – due rappresentanti della città a Polsi: “Un anno ho mandato mio cognato, Francesco Rodà, e un anno mio cugino Nino Pirrello, come rappresentante del locale di San Giovanni».
A Reggio – quel mandamento corrispondente alla zona coperta dal prefisso 0965 scelto all`epoca dalla Sip per il comprensorio calabrese dello Stretto – Iannò era un capo, erede del comando nel locale di Gallico, cui apparteneva per sangue e per scelta. «Appartengo a una famiglia mafiosa sia da parte di mio zio, Paolo Surace, capolocale di Gallico, sia da parte di mio nonno, Francesco Iannò, che era il capo di contrada Catona. Quando a diciassette anni sono entrato nella ndrangheta potevo scegliere a quale dei due affiliarmi e scelsi Gallico». Di quel “locale” Iannò prenderà il comando dopo una lunga carriera criminale scandita da cariche e relative cerimonie, ad almeno una delle quali ha partecipato anche il superboss Pasquale Condello, del quale in futuro diventerà il fedele braccio destro.
Ma su questo Iannò non ha fatto in tempo a entrare in dettaglio prima che l`udienza venisse sospesa, lasciando forse l`amaro in bocca a quei quaranta studenti del liceo scientifico Piria, di Rosarno e del magistrale Rechichi di Polistena, coinvolti nel progetto “Conoscere è vincere” di Libera, che oggi affollavano gli spazi riservati al pubblico. Ed è qui che il pm Giuseppe Lombardo li ha incontrati, prima dell`inizio dell`udienza, per spiegare loro brevemente le linee essenziali dell`inchiesta “Meta” che ha coordinato e istruito e che oggi sostiene in dibattimento. Un`indagine – ha detto il pm ai ragazzi – che abbraccia oltre dieci anni di storia di `ndrangheta a Reggio. Anni in cui le stesse famiglie che si erano mutuamente massacrate nel corso della seconda guerra erano giunte a un regime di concordia – è questa l`ipotesi di fondo dell`inchiesta – garantito da un direttorio formato da esponenti dei maggiori clan. Un`elite che in Pasquale Condello aveva – nelle ipotesi della Procura – lo stratega, colui che «come un allenatore di calcio dice a uno di controllare la zona della difesa, ad uno altro di stare in area di rigore» ha detto il pm Lombardo, tentando a spiegare ai ragazzi l`importanza del superboss. Un uomo che forse avrebbero potuto comprendere anche dalle parole del pentito Iannò, sul quale il pm ha però tenuto a precisare «i collaboratori di giustizia sono molto importanti, ma per me devono essere oggetto di attenta valutazione perché c`è sempre il rischio che possano essere portatori una verità personale. Personalmente, come spero per altri colleghi, perché mi convinca che un collaboratore dice una verità ne passa, in ogni caso nell`ambito di un procedimento è sempre il Tribunale a valutarne l`attendibilità». E Iannò, le cui dichiarazioni hanno già retto la prova di diversi procedimenti, sembra già essere tale.