Di Landro: «Rivedere rapporto tra pm e Procura generale»
REGGIO CALABRIA I numeri snocciolati alla fine del suo intervento, lasciano il tempo che trovano nella relazione del procuratore generale presso la Corte d`appello di Reggio Calabria Salvatore Di Lan…
REGGIO CALABRIA I numeri snocciolati alla fine del suo intervento, lasciano il tempo che trovano nella relazione del procuratore generale presso la Corte d`appello di Reggio Calabria Salvatore Di Landro. Gran parte del suo intervento, durante l`inaugurazione dell`anno giudiziario, è dedicata alla necessità di rivedere il rapporto tra il pubblico ministero e la Procura generale. Non fa nomi o riferimenti a vicende particolari che hanno caratterizzato gli ultimi dodici mesi della magistratura reggina. Tuttavia il procuratore generale non risparmia bacchettate ai colleghi della Procura della Repubblica.
Ma andiamo con ordine. Dopo aver preso atto dei «notevoli progressi compiuti nella lotta al crimine organizzato», una menzione particolare Di Landro la dedica a «coloro i quali sono stati più volte raggiunti da pesanti intimidazioni e continuano ad esercitare con fermezza la loro funzione. Ritengo, inoltre, doveroso un vivo grazie anche a tutto il personale del settore giustizia, in primo luogo a quello del mio ufficio unitamente a tutti gli altri organi istituzionali, per l`impegno corale e la grande professionalità profusi quotidianamente in un clima di fondamentale, costruttiva collaborazione». «La rilettura del mio intervento in occasione della cerimonia per l`inaugurazione dell`anno giudiziario 2012 – ha aggiunto il pg – mi consente di coglierne la piena attualità; tale dato, però, non può inorgoglirmi e rallegrarmi posto che anche quello era impregnato di sostanziale pessimismo. Peraltro, questo momento di incontro ha un senso solo se si riesce a proporre uno spunto di riflessione, nella speranza che il seme lanciato possa germogliare».
Il procuratore generale entra subito nel vivo e punta il dito contro «la crisi dei valori, come prima fonte di ogni male, l`albero delle foglie non sempre sane: e non si può non ritornare sulla figura del pm, come centro propulsore di ogni fondamentale funzione istituzionale che riverbera i suoi effetti, nel bene e nel male, su tutto il sistema giudiziario. Le seguenti riflessioni non sono il frutto di un momento di pessimistica visione astratta di problemi che tormentano il nostro mondo, poiché, purtroppo, sono invece suggerite da concrete esperienze, nelle quali si è dovuto amaramente rilevare come talvolta l`iniziale lettura unilaterale dei fatti può comportare gravissime conseguenze in termini di distorsioni nella ricerca della verità».
Di Landro cerca di essere più esplicito: «Per parlar chiaro, vuol dirsi che la pur legittima esclusiva titolarità dell`impulso unico da parte del pubblico ministero con l`esercizio dell`azione penale dovrebbe trovare dei correttivi, che consentano di evitare l`insorgenza di possibili alterazioni e deviazioni anomale dal corretto percorso verso il traguardo della sentenza. Non v`è dubbio che la tematica sia stata avvertita dai cultori della materia più attenti, ma la soluzione finora suggerita della separazione delle carriere, come panacea di tutti i mali, è “tranchant”, e come tale può apparire un “rimedio peggiore del male”. E però il problema esiste ed è grave. Si pensi ai danni esiziali che il deviante accertamento di alcuni aspetti dell`indagine può determinare sulle conclusioni della stessa, ovvero al filone di accertamenti rimasto inesplorato, con la conseguente mancata acquisizione di elementi di conoscenza fondamentali ai fini dell`accertamento della verità. L`ultraquarantennale esperienza giudiziaria mi autorizza a prospettare possibili rimedi, certamente suscettibili di ogni migliore correzione o integrazione intendendosi offrire solo lo spunto per una disamina seria e concreta».
Quello che Di Landro lamenta, in sostanza, è che «le funzioni del procuratore generale sono in concreto piuttosto “riduttive”, essendo limitate all`acquisizione di “dati e notizie” da inviare al procuratore generale presso la Corte di cassazione. Così individuata la sfera di azione, pur nella circonferenza più ampia del cosiddetto “potere di sorveglianza” riconosciuto dalle norme speciali in materia, balza evidente il suo ridotto campo di intervento che, in realtà, non consente alcun tipo di sostanziale influenza sul processo in corso, se non in caso di patenti anomalie o di eccezionali situazioni. Sicché la risposta che ritengo di dare non può che essere desolatamente negativa, con la conclusione che in atto, in realtà, il pubblico ministero rimane il dominus assoluto del processo, che consegna al gip già confezionato, e sul quale quest`ultimo (peraltro oberatissimo di impegni) ben poco può intervenire. Orbene, se non è stata articolata una risposta chiarificatrice adeguata, forte ed univoca, ciò è riconducibile sia ad una difficoltà ermeneutica dei limiti posti dalla norma, sia perché in effetti la possibilità di intervento, allo stato, è particolarmente circoscritta. Invero, escluse le ipotesi ben individuate di avocazione, esiste un amplissimo campo di indagini in cui l`esperienza può contribuire ad una lettura più ampia e nel contempo più incisiva e meno unilaterale. So benissimo delle sicure resistenze “corporative” da parte degli uffici di primo grado e riconosco la necessità di intervento quanto mai equilibrato e prudente, ma ciò non toglie che si debba iniziare questo percorso al fine di perseguire una giustizia più riflessiva, più completa, di maggior respiro. Orbene, lungo la direttrice del cosiddetto “intervento” possono articolarsi diverse scelte operative, che conducono appunto anche alla possibilità di proporre una lettura diversa, frutto di una riflessione esterna, frequentemente più matura e distaccata, che consente la visione di altri scenari».
Secondo Di Landro, quindi, la Procura generale dovrebbe avere un ruolo più incisivo nella fase delle indagini e non circoscritto a rappresentare l`accusa nei processi d`Appello: «Limitare il tutto a una richiesta di dati e notizie ha in sé il rischio di ricondurre il tutto a una dimensione “burocratica”, che non consente di interagire per l`accertamento della verità. Né si coglie quale delitto di “lesa maestà” si consumerebbe prevedendo che il Procuratore generale possa prendere al suo osservatorio più maturo e distaccato, cognizione meno mediata del dipanarsi della vicenda processuale e possa suggerire temi di indagine, prospettive diverse, percorsi inesplorati; il tutto al servizio della ricerca della verità. Non posso non concludere senza una professione d`amore, interiore e profonda, per la funzione del magistrato, quale io l`ho sognata e conosciuta; quale ricerca ed esercizio di verità».
«La difesa del bene dell`autonomia e dell`indipendenza – conclude il procuratore generale di Reggio – si attualizza solo con l`operare quotidiano, nel massimo rigore non disgiunto da grande senso di responsabilità, grande umiltà, grande disponibilità al dialogo costruttivo. Un ultimo pensiero va ai giovani colleghi. Essi non lo sanno, ma noi li seguiamo anche con preoccupazione, non disgiunta da tristezza, ove appaia fondato il timore che essi dimentichino che tra le qualità fondamentali di un buon magistrato vi sono l`umiltà, l`educazione, l`esperienza, l`equilibrio, la serenità di giudizio; nell`auspicio che sappiano sempre coniugare tali virtù con la pur legittima ansia di giustizia. Un altro anno della nostra storia si è consumato; come tanti, fatto di passioni, di momenti tristi, di altri lieti, di contrasti, di lotte, di sofferenze, di gioie. L`auspicio è che di me, di noi, rimanga il soffio di una vita fortunata perché ben spesa nella materializzazione di un sogno di bellezza, finalizzato ai grandi ideali per i quali abbiamo fortemente voluto essere magistrati».