La politica in Multiservizi secondo Fiume
REGGIO CALABRIA “Perché per poter avere determinati interessi in determinate società bisogna avere legami con la politica, perché i politici che ho conosciuto io vengono dal mondo dello sport, perché…

REGGIO CALABRIA “Perché per poter avere determinati interessi in determinate società bisogna avere legami con la politica, perché i politici che ho conosciuto io vengono dal mondo dello sport, perché a detta di Carmine De Stefano se la ‘ndrangheta vuole il 5%, i politici vogliono il 10% e perché per entrare in determinate cose bisogna passare per la politica”: sono questi i motivi per cui a Nino Fiume, collaboratore che ha vissuto la sua carriere criminale da braccio destro di Carmine e Giuseppe De Stefano, la parola Multiservizi fa venire in mente la politica. La più grande municipalizzata della città, sciolta in seguito alle indagini che l’hanno svelata infiltrata fin dalla sua costituzione dai clan, era cosa degli arcoti. Ma stando a quanto sta emergendo in istruttoria non c’erano solo i Tegano a governare i destini e acquisire i profitti della municipalizzata che si occupa della manutenzione a Reggio.
A supervisionare gli affari – in omaggio a quella carica di capocrimine di cui era stato investito su mandato del superboss Pasquale Condello – era Giuseppe De Stefano. “A quell’epoca lui e Pasquale Condello sembravano la stessa cosa”, dice Fiume con un’ombra di reverenza che quasi gli incrina la voce. Ed è in nome del nuovo potere che sull’affare Multiservizi – all’epoca ancora in via di gestazione – come altri affari aveva comunque voce in capitolo. Affari che necessitano contatti che vanno al di là della sfera meramente criminale. “L’interesse politico – dice Fiume in aula – c’è sempre stato in certe situazioni per entrare a far parte in cose della città di Reggio, una volta ho usato l’espressione sindaco per Paolo De Stefano, poi ha preso piede suo figlio Giuseppe”.
L’EREDE
Intervallato dagli stop del pubblico ministero Giuseppe Lombardo, attento a non svelare particolari di indagini e verifiche in corso, il pentito Fiume riversa in aula l’enorme bagaglio conoscitivo che gli viene dall’aver vissuto per decenni gomito a gomito con il cuore e la mente della nuova ndrangheta reggina, quel figlio di Don Paolino che nel tempo è cresciuto tanto nella galassia criminale – e non solo – di Reggio città, da poter rivendicare quel ruolo che era stato del padre. Ed ottenerlo. E sulla scia delle orme paterne, Peppe De Stefano ha continuato a costruire l’impero degli arcoti. “I De Stefano erano coinvolti in progetti imprenditoriali con il Comune già dai tempi del Decreto Reggio, quando si facevano i lavori per la Provincia o per altri apparati dello Stato, c’è chi ci ha rimesso la pelle se si è inserito nel modo sbagliato”. Lavori frutto di accordi e riunioni fra quelle quattro famiglie che all’indomani della seconda guerra di ‘ndrangheta avevano imposto il proprio regime e le proprie regole. Lavori che necessitavano però di uomini dalla faccia pulita, ufficialmente insospettabili, ma di assoluta fiducia. Uomini come Giuseppe Rechichi. Non formalmente affiliato, ma considerato “uomo di fiducia e rispetto”, per Fiume è tutt’altro che uno sconosciuto. “Lo conosco da quando ero ragazzino. Nel periodo della guerra era considerato un uomo d’onore, un uomo discreto che si metteva a disposizione anche quando c’era da accompagnare Giuseppe. La Comedil – la società sita in via vecchia provinciale di Archi, nello stabile che in futuro ospiterà tutti i simulacri delle sue evoluzioni societarie senza modificarne la natura – era un punto di riferimento per noi.” Alla Comedil – dove era stata predisposta anche una via di fuga da una porticina laterale – racconta Fiume – si tenevano riunioni operative e si nascondevano armi. Allo stesso modo, si utilizzavano garage messi a disposizione da Rechichi per le riunioni e nel cortile del suo condominio si nascondevano le auto rubate.
NUOVA ‘NDRANGHETA E NUOVI AFFARI
Ma anche finita la guerra, nelle parole di Fiume Rechichi è rimasto un “uomo a disposizione”. Cresciuto all’ombra di Carmelo Barbaro, grande vecchio delle cosche reggine che su di lui aveva esteso la sua protezione – “come Condello aveva fatto su Matteo Alampi, così Melo Barbaro aveva la responsabilità di Rechichi” spiega Fiume – quello che finirà dietro le sbarre come uomo dei clan in Multiservizi, nei ricordi di Fiume “tramite Barbaro si era portato avanti con i Tegano, ma quando Giuseppe ha avuto il Crimine ha iniziato a dover rendere conto anche a lui”. Non è un personaggio di secondo piano, Pino Rechichi. “Lui veniva con noi anche a matrimoni a Platì, non è che non poteva accedere a certe conversazioni”. Eppure Giuseppe Rechichi era anche uno di quelli che quando la Reggina giocava in trasferta, andava a seguire le partite al circolo Polimeni, in compagnia dell’ispettore Mario Blasco. “Loro due erano molto amici – ricorda Fiume – e questo era noto a tutti. Con la vecchia ndrangheta questa cosa non sarebbe stata possibile, ma con la Santa, la nuova `ndrangheta per uomini come lui era normale”.
E per uomini come lui sono anni di affari importanti. Anni in cui “Rechichi aveva in mano diverse cose. Era interessato alla Perla dello Stretto e in quella situazione, dava conto a Peppe De Stefano e ai Tegano”. Negli stessi anni, insieme, Giuseppe De Stefano e Pino Rechichi “supervisionano anche i disegni dell’ex Fiat e quando c’era da fare la piscina a Parco Caserta, pure parlavano”. Ma il figlio di Don Paolino che del padre ha ereditato il carisma e il potere “fa riunioni con Rechichi per Multiservizi”. E della costituzione e dei primi passi della società, Nino Fiume sarà spettatore privilegiato. Storico fidanzato di Giorgia De Stefano, sorella di Peppe e Carmine, ha vissuto con i rampolli di casa De Stefano per oltre vent’anni. E da quel palcoscenisco privilegiato ha visto cose e ascoltato conversazioni, ha partecipato a riunioni e ha ricevuto confidenze e sfoghi. Ma soprattutto ha visto concludere affari di cui non era parte attiva “perché nella ndrangheta uno sta al posto suo e parla quando è interpellato”, ma che ha vissuto perché ombra dei veri protagonisti – i fratelli De Stefano – che proprio in quegli anni rivendicano e ottengono il loro posto e il loro ruolo in quella “ndrangheta economica” che dopo la guerra ha iniziato a governare la città. Un ruolo preteso anche a costo di una possibile lotta tutta interna a quel cartello dei De Stefano-Tegano, che durante la guerra era “una cosa sola”. Differenze e divergenze che rischiano di spaccare in due anche la stessa famiglia De Stefano, lasciando ai due lati opposti della barricata i figli di don Paolino, Giuseppe e Carmine, e il fratello del boss, Orazio, più vicino ai Tegano, per aver sposato la nipote del mammasantissima Giovanni, Antonietta Benestare. “Giovanni Tegano era davvero un uomo di pace. I fratelli De Stefano volevano muovere guerra a Orazio ma è stato Giovanni Tegano a ricomporre tutto, dicendo che qualcuno avrebbe potuto approfittarne”.
DA MAFRICI AI DE STEFANO, TUTTI ALL’OMBRA DELLA MULTISERVIZI
È questo il quadro che Fiume disegna e che avrebbe fatto da sfondo alla costruzione della Multiservizi. Un quadro che vede tanti attori intervenire. Ci sono i protagonisti di sempre, ma anche chi da semplice comparsa sullo sfondo svelerà il proprio ruolo negli anni a venire. “Rosario Rechichi per un periodo è andato via da Reggio, è andato a Pisa, a Siena non ricordo. Se non mi sbaglio era lo stesso periodo in cui lui e il fratello erano appena usciti fuori da un’altra società che si occupava di carpenteria metallica, faceva cassonetti per la spazzatura. In questa situazione c’era di mezzo anche Mario Audino, ma anche Bruno Mafrici, quello che non si capisce se è avvocato o non è avvocato, che ci aveva messo soldi”. Ed è in quello stesso periodo che alla Comedil, iniziano ad apparire “persone nuove”. Sono i fratelli Lavilla cui Giuseppe Rechichi ha ceduto la propria quota. Anche loro non sono degli sconosciuti per Nino Fiume. Tanto meno
per i De Stefano. “Peppe Lavilla aveva sempre lavorato con i Tegano, cui era legato da una profonda stima e amicizia. Quando doveva parlare con Paolo De Stefano, si faceva accompagnare da Gianni Tegano”. Ai suoi figli, era stato lo stesso Nino Fiume a dare una mano, quando un debito non saldato con Pasquale Trimboli, rischiava di far passare loro dei guai. Non ha difficoltà a riconoscerli dunque quando se li ritrova davanti alla Comedil. Cedute le quote però, i Rechichi non stanno certo con le mani in mano. “In quel periodo, Rosario non lo vedevo molto, ma Pino di tanto in tanto sì. Si accompagnava con Michelangelo Tibaldi e avevano in mente di fare qualcosa a livello di costruzione. Era il 2001, quando Peppe De Stefano tornava da Messina con i permessi”. È sui tempi di una vita che non gli appartiene ma che ha vissuto quasi per osmosi che Nino Fiume, inanella ricordi e situazioni. Circostanze cui spesso ha assistito – o almeno così pare – da spettatore e solo oggi alla luce dell’esperienza riesce a comprendere fino in fondo. Dalla sua ha anni e anni passati nelle fila del clan più potente di Reggio città, in cui ha scelto di essere ombra dei rampolli di casa De Stefano. Gli stessi di cui oggi è pronto a rivelare tutti i segreti, finendo per minacciare anche il regno di quella Reggio bene che per anni non ha avuto remore a mischiare affari e piaceri con il clan di Archi. Affari e piaceri che Fiume conosce e sembra pronto a rivelare.