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Processo "Agathos", Lombardo invoca pene pesanti per i tre imputati

REGGIO CALABRIA «Siamo in presenza di condotte gravi che cozzano contro gli istituti premiali che il nostro ordinamento pure prevede. Se la `ndrangheta è quello che ricostruiamo nelle aule di giustiz…

Pubblicato il: 05/02/2013 – 15:56
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Processo "Agathos", Lombardo invoca pene pesanti per i tre imputati

REGGIO CALABRIA «Siamo in presenza di condotte gravi che cozzano contro gli istituti premiali che il nostro ordinamento pure prevede. Se la `ndrangheta è quello che ricostruiamo nelle aule di giustizia, nessuno degli imputati può godere di uno sconto o del riconoscimento delle attenuanti generiche»: è questa la premessa che il pm Giuseppe Lombardo fa, prima di procedere con le richieste – pesantissime – di condanna nei confronti dei tre imputati per il procedimento Agathos, che vede alla sbarra gli uomini della cosca Tegano che controllavano la cooperativa incaricata della pulizia dei treni a Reggio Calabria. Ventidue anni di carcere e 10mila euro di multa sono stati chiesti per Francesco Trimboli, conosciuto anche come “Ciccio Mercatone”, sette per Giuseppe Morabito e 18 anni di reclusione per quello che gli inquirenti considerano il reggente di Santa Caterina su mandato degli “arcoti”, Carmelo Murina.
E proprio la figura di quest’ultimo è l’elemento chiave – spiega il pm nella requisitoria – per comprendere la portata dell’intera indagine che non si è limitata a ricostruire l’infiltrazione di un clan nei pubblici appalti, ma è servita soprattutto per ricomporre il quadro delle gerarchie criminali a Reggio all’indomani della seconda guerra di ‘ndrangheta. «La cosca Tegano esiste, fa parte del gotha della `ndrangheta reggina e non è parificata o parificabile alle altre», sottolinea il pm. Ed è proprio la figura di Murina – già condannato nel processo Olimpia come espressione della cosca Franco – capo, e come tale riconosciuto da diversi collaboratori e non solo, a far comprendere i nuovi assetti «che permettono ai Tegano di intervenire nella platea di lavaggio di Calamizzi che è fuori dalla zona di loro tradizionale competenza». Benchè capo riconosciuto, uomo di fiducia della cosca Tegano, che scelgono lui per controllare una zona di «fondamentale rilevanza strategica» come il quartiere di Santa Caterina, Murina – ricorda il pm – si deve fare da parte quando Paolo Schimizzi, personaggio di primo piano del clan prima che la sua rapidissima ascesa non venisse arrestata da una presumibile scomparsa per lupara bianca, rivendica i suoi diritti sul bar Malavenda. Una vicenda che non è oggetto di esame di questo procedimento, ma paradigmatica per comprendere che «esiste una `ndrangheta di primo livello e una di secondo livello», che quando la prima si impone è obbligata a farsi da parte. E che spiega l’evoluzione stessa della cosca Franco, la cui esistenza è stata provata dal procedimento Olimpia, nel tempo «inglobata – dice Lombardo – dai Tegano».
Un quadro che è stato possibile ricostruire anche grazie alle rivelazioni dei collaboratori, primo fra tutti Nino Lo Giudice, la cui famiglia in passato controllava Santa Caterina. Un collaboratore «dal percorso ondulato» – lo definisce Lombardo – e dalla personalità complessa, non esente da tratti di autoesaltazione, ma che su Carmelo Murina non ha dubbi. «Carmelo Murina è Carmelo Murina». E un capo non ha bisogno di aggettivi. «Lui è molto più di me», si limita a dire il Nano il giorno della deposizione, sapendo che quel Carmelo Murina è in aula, lo sta vedendo e ascoltando, quindi non può millantare cariche e potere che non ha. Nel riferire dell’investitura a padrino – che proprio Murina gli avrebbe concesso – ricorda il pm Lombardo, Lo Giudice è netto nello spiegare che quella carica non gli dà diritto ad alcun potere o territorio. Tutti elementi che servono per comporre il quadro che oggi a Reggio può fornire un «soldato di grado elevato, ma pur sempre un soldato», sottolinea Lombardo riferendosi al collaboratore e auspicando che un giorno possa fornire altri elementi «per individuare i generali, sempre tenendo presente che sopra i generali ci sono altre figure. E questa è una struttura che condiziona la vita di tutti noi».
È in questo quadro che matura l’infiltrazione dei Tegano nella New Labor. Ed è in questo quadro che vanno pesate le figure degli altri protagonisti della vicenda come Ciccio “Mercatone”. Conosciuto alla New labor come «il principale» non era né un semplice sindacalista, né un semplice impiegato. A rivelarlo – indica il pm nella sua requisitoria – sono una sia pluralità di elementi che vengono dalle intercettazioni, sia la testimonianza di un altro collaboratore, che della cosca Tegano e della colonizzazione della New Labor, era elemento chiave, Roberto Moio.
Sono le conversazioni intercettate di Antonio Dimo – uno dei proprietari della cooperativa, che nel corso del procedimento verrà interdetta alla partecipazione ai pubblici appalti per mancata denuncia delle estorsioni – a inchiodare Francesco Trimboli a un ruolo di primo piano. Conversazioni come quella con Marco Soriani – ricorda il pm –  in cui si ricorda come Ciccio Mercatone verrà salvato dalla cassa integrazione e questo affermava all’epoca  Dimo – riferisce oggi in aula Lombardo – «ce lo giochiamo in un’altra occasione, adesso ci deve un favore».
Se fosse uno dei tanti – si chiede il pubblico ministero – perché «questo riferimento esclusivo?». Del resto, solo con Trimboli – aggiunge la pubblica accusa – Antonio Dimo andava a cena e aveva frequentazioni al di fuori dell’orario di lavoro. Ma sulla figura di Ciccio “Mercatone” nessuno più di Moio, che in un determinato momento storico l’ha sostituito alla platea di lavaggio di Calamizzi per una serie di mansioni, è in grado di riferire. E per Moio Ciccio “Mercatone” è un appartenente alla cosca Tegano con cui – per un certo periodo di tempo – ha lavorato quotidianamente e ha diviso incarichi e compiti. In maniera consapevole e cosciente, come esponente di un’associazione a delinquere  che «non scorre in armi la campagna», ma ha lo scopo precipuo di arricchirsi alle spalle della società, specifica il pm, chiedendo per lui anche una pena pecuniaria di 10mila euro di multa.
Altrettanto consapevole e cosciente del suo ruolo di fiancheggiatore di una delle figure che all’indomani della guerra di `ndrangheta è stata chiamata a rappresentare e garantire i nuovi equilibri, Giovanni Tegano, era Giuseppe Morabito. Ed è stato offrendo al latitante Tegano ospitalità e rifugio nella sua casa che Morabito ha portato il suo sassolino alla causa del nuovo ordine. Per questo anche per lui il pm Lombardo non ha potuto fare altro che partire dal massimo della pena prevista, chiedendo severità al Tribunale che già il 20 dovrebbe esprimersi con una sentenza.

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