COSENZA La mitologia della destra, la fascinazione della militanza di una volta, «quella fatta di colla e manifesti», le spranghe no, quelle non si citano perché certe cose fanno ancora vergogna. E poi le campagne elettorali, le sezioni, l’emarginazione, l’eroismo delle «botte date e ricevute», e i campi Hobbit, l’onore, l’estraneità alla corruzione che è parte del Dna. Poco importa che oggi quella generazione in Italia e in Calabria sia stata e sia al potere, accomodata su poltrone che contano, responsabile di come le cose vanno. Poco importa che sulla corruzione, quella conclamata e quella presunta, magari ci voleva un poco di coraggio in più, bastava guardarsi in sala e sapere che alcuni mesi fa tra i presenti ci sarebbe stato pure Mimmo Barile, che Scopellitti aveva messo alla guida della Field, dalle cui casse manca un po’ di denaro e che invece questa sera non c’era, sarebbe stato inopportuno. Che qualche camerata a loro vicinissimo sia in carcere a Milano condannato in primo grado. E pure sul mito del buon governo, sarebbe bastato pensare al buco pazzesco che si è risucchiato Reggio Calabria e alle inquietanti ombre che su quella città aleggiano. Ai giovani della destra per essere contenti basta attaccare al muro il Pantheon di riferimento. Un poco confuso in vero, ma suggestivo. Wojtyla accanto a Rauti, ma sotto il giudice Scopelliti, più avanti l’Uomo Tigre – protagonista dei cartoon giapponesi sul wrestling – accanto a Corto Maltese e ad Almirante e a un nativo americano che cavalca nelle praterie e infine la saga tolkieniana al completo. Ma pure abbondantemente citati Ezra Pound e Julius Evola. Una storia cui i post fascisti guardano col cuore pregno di nostalgia. Ma se al presentatore piace far ridere – e ci riesce –vagamente ancheggiando e dicendo che «Vendola è un poco frù-frù», allora pure il cervello è incollato a quel muro.
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