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«D`Alema e Pisanu vengano a deporre»

REGGIO CALABRIA Maurizio Cortese è stato incastrato, è una vittima di un gioco molto più grande di lui, è il “parafulmine” di una vicenda «condizionata da un problema evidente di contaminazione istit…

Pubblicato il: 18/02/2013 – 16:49
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«D`Alema e Pisanu vengano a deporre»

REGGIO CALABRIA Maurizio Cortese è stato incastrato, è una vittima di un gioco molto più grande di lui, è il “parafulmine” di una vicenda «condizionata da un problema evidente di contaminazione istituzionale» che va indagato fino in fondo: è questa la tesi dei legali Giacomo Iaria e Luca Cianferoni, che a difesa del proprio assistito – per gli inquirenti, uno dei principali esponenti delle giovani leve della cosca Serraino – hanno chiesto che a deporre al processo “Epilogo” arrivi un nuovo esercito di testimoni dai nomi altisonanti.
Dal presidente della commissione parlamentare Antimafia nel 2010, Beppe Pisanu, a quello del Copasir, Massimo D’Alema, dal maggiore dei carabinieri, Gianluca Vitagliano all’ex capo della Mobile, oggi trasferito a Roma, Renato Cortese, fino all’ex talpa dei servizi – sul cui capo pende una richiesta di condanna a 17 anni per concorso esterno in associazione mafiosa – Giovanni Zumbo, così come l’appuntato Roccella, che delle soffiate della talpa è stato in alcuni casi il destinatario: per i due legali tutti sono chiamati a portare il loro sassolino di verità per svelare “il depistaggio” che avrebbe portato gli inquirenti a indagare su Cortese.
«Non c’è dubbio che qualcuno abbia tentato di addossare a Maurizio Cortese le responsabilità dell’attentato del tre gennaio (alla Procura generale ndr). Non sto accusando il colonnello Vitagliano, ma sicuramente fra gli inquirenti, qualche mela marcia c’è», tuona in aula l’avvocato Luca Cianferoni. E proprio l’attentato – che fin dalle prime battute del processo è stata l’ossessione dei due legali, che hanno fatto di tutto perché il procedimento venisse spostato a Catanzaro e riunito con quello sulla stagione delle bombe che nel 2010 hanno terrorizzato Reggio – è per le difese la chiave del “grande gioco” che avrebbe fagocitato Cortese.
Prima delle rivelazioni autoaccusatorie di Nino Lo Giudice, è infatti proprio su Cortese e sui ragazzi del “banco nuovo” – le giovani leve del clan Serraino – che si erano addensati i primi sospetti degli inquirenti per la bomba esplosa il 3 gennaio di fronte alla Procura generale. E a detta dei legali, è in quei sospetti che sarebbe maturata l’accusa di associazione mafiosa a carico del proprio assistito. «Sono gli stessi carabinieri a dire che le indagini per l’attentato e quelle sulla cosca Serraino vanno di pari passo», ricorda Cianferoni, sottolineando che «Catanzaro ha rigettato un tentativo di depistaggio» non iscrivendo nel registro degli indagati né Cortese, né le altre giovani leve del clan.
Una premessa che serve all’avvocato per arrivare a concludere che «se non esistono elementi di prova per l’attentato, allora non esiste l’associazione mafiosa, non esiste una new generation della cosca Serraino». Per il legale, Cortese – già condannato per un omicidio commesso quando era ancora minorenne – sarebbe stato la vittima predestinata di una manovra che avrebbe tentato di scaricare su di lui la responsabilità di un attentato dai contorni ancora oscuri. «Se troviamo l’autore del depistaggio su Cortese troviamo anche i mandanti delle bombe», afferma il legale che lascia intendere che neanche il procedimento in corso a Catanzaro sarà in grado di stabilire davvero cosa sia successo nel 2010 a Reggio Calabria. «Pignatone e Di Landro – sottolinea – non si sono costituiti parte civile e questo è una prova evidente».
Per svelare le presunte oscure trame, il collegio difensivo di Cortese, ritiene dunque necessario non solo mettere agli atti quanto dichiarato dai procuratori Salvatore Di Landro e Giuseppe Pignatone in pubblica udienza di fronte ai giudici di Catanzaro, ma anche chiamare a deporre tanto Luciano Lo Giudice, tanto «le fonti confidenziali che hanno portato gli inquirenti a indagare sui Serraino, chi le ha recepite e trattate, le autorità che hanno convocato la conferenza stampa per informare sull’indagine, i giornalisti che ne hanno scritto», elenca l’avvocato Iaria, incalzato in seguito dal collega Cianferoni che a più riprese sottolinea il ruolo di «confidenti che sembrano dei concorrenti» sui quali sarebbe necessario fare un chiarimento.
Tutti quanti – a detta delle difese – avrebbero infatti contribuito a costruire quel castello di sospetti che avrebbe portato gli inquirenti a puntare su Cortese, che – sostengono entrambi i legali – non è un associato perché non esiste alcuna nuova generazione della cosca Serraino. Una tesi che hanno intenzione di confermare attraverso l’escussione non solo di personaggi che a vario titolo fanno parte della galassia criminale reggina – come Antonio Cortese e Diego Rosmini – ma anche dell’ex presidente del consiglio comunale, Seby Vecchio, secondo alcuni pentiti vicino al clan Serraino e da questo aiutato nella sua ascesa politica e elettorale, degli educatori del carcere di Sollicciano, dove Cortese è stato a lungo detenuto, nonché di tutti i titolari di panifici di Cataforio, san Sperato e dintorni.
A ulteriore riprova, le difese hanno chiesto che il proprio assistito venga messo a confronto con i pentiti Marco Marino e Consolato Villani, nonché un ulteriore confronto fra Antonino Labate e il collaboratore Roberto Moio. Tutte richieste che il collegio difensivo di Cortese promette di compendiare in una memoria che verrà depositata nelle prossime udienze e sulla quale il pm Giuseppe Lombardo si è riservato di pronunciarsi, anticipando però che «oggi è stata presentata una denuncia pubblica su un presunto depistaggio che recepisco e per la quale chiedo l’immediata trasmissione degli atti in Procura, dove mi occuperò di seguirla personalmente». Una richiesta che il Tribunale presieduto da Silvana Grasso ha immediatamente accettato.

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