“OPERAZIONE AZZECCAGARBUGLI” | I dipendenti denunciano e svelano il “sistema”
REGGIO CALABRIA Castelli societari, fallimenti pilotati, galassie di aziende che si avvicendano alla guida di realtà imprenditoriali solo per celare quelli che – nonostante i rovesci economici e fina…

REGGIO CALABRIA Castelli societari, fallimenti pilotati, galassie di aziende che si avvicendano alla guida di realtà imprenditoriali solo per celare quelli che – nonostante i rovesci economici e finanziari immancabilmente – rimangono i reali proprietari: c’è tutto questo nell’operazione “Azzeccagarbugli” messa a segno oggi dalla guardia di finanza, che ha portato all’arresto di Brunella Fortunata Latella, ex titolare della società Doc Market, e del marito Gaetano Tomasello, e ha fatto finire nei guai una serie di noti professionisti – avvocati e commercialisti – che avrebbero aiutato i coniugi nelle loro manovre.
Ma al di là delle più o meno raffinate operazioni economiche e finanziare, con cui i coniugi avrebbero tentato di mettere al sicuro il patrimonio della società in liquidazione, girandolo a compiacenti prestanome o a società a loro stessi riconducibili, nell’inchiesta coordinata dal pm Stefano Musolino ci sono anche le storie di ordinaria vessazione cui sarebbero stati sottoposti i dipendenti del gruppo.
Uomini e donne che per anni sarebbero stati costretti a sottostare a presunte angherie e vessazioni dei due datori di lavoro, in grado di imporre le proprie leggi e le proprie regole anche quando non avrebbero avuto più alcun titolo per farlo. È quanto sarebbe successo a camerieri, banconisti, tuttofare del noto bar pasticceria Cordon Bleu – uno dei luoghi simbolo di Reggio Calabria – in teoria tutti regolarmente assunti, ma che sarebbero stati costretti a versare regolarmente al gruppo Latella una quota del proprio stipendio.
Un regime che nonostante il Cordon Bleu avesse cambiato – quanto meno formalmente – proprietario, passando nelle mani di Domenico Viglianisi, ex dipendente oggi indagato come prestanome dei due coniugi, non sarebbe mai tramontato. Tanto meno sarebbero cambiati i beneficiari di quella che il gip, Tommasina Cotroneo, ha qualificato – e contestato alla Latella e a Tomasello – come una vera e propria estorsione.
Sono state le numerose denunce dei lavoratori di alcuni supermercati del capoluogo reggino, riconducibili al medesimo gruppo imprenditoriale, a spingere la Finanza ad approfondire anche come fossero gestiti i dipendenti delle società del gruppo. Un’indagine che ha scoperchiato un calderone fatto di presunti abusi, minacce e sistematica violazione dei più elementari diritti dei lavoratori, divenuti quotidiana prassi. «Approfittando della situazione di depressione del mercato del lavoro e della conseguente debolezza contrattuale dei lavoratori dipendenti, mediante minaccia implicita», sottolinea il gip Cotroneo, i due coniugi, coadiuvati da Viglianisi – ex dipendente che sarebbe divenuto fedele testa di legno – avrebbero costretto i dipendenti a «consegnare o a rinunciare ad una quota dello stipendio mensile risultante dalla busta paga, nella misura variabile per ciascuno di essi dai 100,00 ai 600,00 euro mensili».
Obbligati a sottostare alle presunte continue minacce dei due, ricattati con la prospettiva immediata di un licenziamento in tronco, per anni – almeno dal 2009 al 2012 – quattordici dipendenti sarebbero stati costretti a chinare la testa, “restituendo” parte dello stipendio pattuito, ma che esisteva solo sulla carta della busta paga. Un sistema che ai coniugi sarebbe servito per creare una liquidità immediata, scoperchiato anche grazie alle denuncia querela – in seguito ritirata – di un dipendente, l’unico a ribellarsi alle presunte imposizioni dei due e per questo immediatamente licenziato. Una manovra – sottolinea il gip – «apparentemente giustificata dalla necessità di “riduzione del personale”, di fatto meramente ritorsiva, per indurlo a piegarsi innanzi alla pretesa datoriale di perpetuare il sistema estorsivo a suo danno sulle future retribuzioni». Un sistema a cui Vigo ha detto no.
È stato lui a recarsi spontaneamente al Comando della guardia di finanza per spiegare cosa succedesse dietro le patinate sale del bar-pasticceria Cordon Bleu. Assunto con la promessa di una paga di 700 euro mensili, concordata con Tomasello, il dipendente non solo sarebbe stato messo in regola solo dopo ripetuti solleciti, ma è in occasione della prima busta paga che si sarebbe accorto di qualcosa di strano. «Ho ricevuto la mia prima busta paga riportante un importo netto di 576,00 euro, a fronte della quale mi venivano consegnati dal Viglianisi un assegno postale più 124 euro in contanti – mette a verbale il lavoratore –. Il mese successivo, in data 16/01/2012, ricevevo dal signor Viglianisi la seconda busta paga, relativa al mese di dicembre 2011, riportante un importo netto di 84 euro in più relativi alla 13ma mensilità. A fronte di detti importi, lo stesso mi consegnava un assegno postale di 892 euro, invitandomi a restituire, dopo l’avvenuto incasso, 192 euro pari alla differenza fra lo stipendio concordato e quanto risultante in busta paga».
Un sistema semplice e straordinariamente efficace, ma che avrebbe garantito ai coniugi un flusso di liquidità continuo e dalle dimensioni non indifferenti. A tutti i lavoratori era richiesto di versare una quota: da 100 a 600 euro, fino al raffinato sistema di “prelievo” sulla paga dei camerieri, cui veniva imposto di versare la differenza fra lo stipendio e l’11% delle consumazioni servite ai tavoli. Circostanze in seguito confermate dai diretti protagonisti di fronte agli inquirenti, cui più di uno dei lavoratori ha detto chiaramente di aver ceduto perché terrorizzato dall’idea di perdere il posto di lavoro. Si sentiva, ad esempio «obbligata a sottoscrivere comunque le busta paga» una dipendente, cui i coniugi Latella – Tomasello avrebbero estorto dalle 600 alle 800 euro al mese, per un totale di 33.200 euro dal 2009 al 2012. «Se mi fossi rifiutata – ha dichiarato agli investigatori – sicuramente sarei stata licenziata come hanno minacciato di fare con altri colleghi». E illuminanti al fine di comprendere quale fosse il presunto clima di terrore nel noto bar del centro città, sono le dichiarazioni messe agli atti da un’altra lavoratrice: «Non è mai capitato che io abbia ricevuto lo stipendio come da busta paga, anzi dovevo restituire l’intera somma del titolo che corrispondeva al salario. Non ho mai pensato di non restituire l’importo dell’assegno, perché era prassi consolidata dell’azienda adeguandomi agli altri colleghi, pertanto non ho mai pensato ad un mio effettivo licenziamento, anche perché non posso permettermi di restare senza lavoro».
Sarebbe stato un vero e proprio regime di terrore basato sul ricatto e la minaccia costante, quello vigente nelle sofisticate sale del Cordon Bleu. Ancora più schiacciante sarebbe stata la pressione cui erano sottoposti i dipendenti stranieri, impiccati al timore di perdere il lavoro e di conseguenza il permesso di soggiorno. Un dramma che traspare tutto dalle parole di un dipendente che agli uomini in divisa dice: «La mia preoccupazione era che se non restituivo la differenza sarei stato costretto a lasciare il lavoro e quindi accettavo di restituire il denaro che consegnavo a Viglianisi».
Un metodo operativo – sottolinea il gip – «tipicamente adottato dai coniugi Latella-Tomasello ( in cui poi era consapevolmente coinvolto il Viglianisi, intestatario fittizio della Gsc ed esecutore per conto dei primi due di condotte gestionali del Cordon Bleu, anche in riferimento alla retribuzione della manodopera ivi impiegata) nella gestione del gruppo imprenditoriale da loro governato». Con buona pace di contratti, diritti dei lavoratori e sindacati. Nell’intera vicenda non pervenuti.